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Al centro del centro, che più centro non si può (e di Destre non se ne può più)

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di Marco Biondi

Continuiamo a sentir parlare di un “fantomatico” agglomerato di partiti centristi che potrebbero federarsi tra di loro. E le ultime rilevazioni dei sondaggisti hanno iniziato a misurarne il possibile peso in vista delle prossime elezioni politiche. I movimenti in politica difficilmente hanno tempi brevi, e anche in questo caso dobbiamo cercare di andare un po’ indietro di qualche mese per cercare di capirci qualche cosa.

Il primo passo è stata la separazione di Renzi dal PD con la nascita di Italia Viva. Un nuovo partito che nasceva sotto ottimi auspici e che avrebbe dovuto agevolmente attrarre oltre il 10% di voti in un’ipotetica elezione politica. Poi le cose non sono andate come il suo fondatore sperava. Intanto a causa della guerra che sembra molto personale di alcuni magistrati che, probabilmente, “non amavano” Renzi fin dai tempi nei quali il ragazzo, allora a capo del Governo nazionale, aveva deciso che i magistrati dovessero avere stipendi plafonati e un periodo di ferie come i normali lavoratori, sottraendo loro un benefit che, evidentemente, cozzava con l’esigenza di avere dei tempi meno inaccettabili nei processi.

Fatto sta, che ancora non si erano vuotate le bottiglie di spumante per festeggiare la nascita del nuovo partito, che subito partiva l’inchiesta “Open” che bloccava, all’origine, le fonti di finanziamento sulle quali Italia Viva evidentemente contava. Poco importa, in questo momento, quale sarà l’esito del processo che si concluderà tra qualche anno (nonostante le ferie accorciate dei giudici). La cosa che importa è l’eco mediatico che ha avuto la vicenda e che, evidentemente, non ha attratto molti consensi sulla nuova iniziativa. Se poi ci aggiungiamo che il ragazzo di Rignano ha, da subito, compiuto un atto di killeraggio sulla sua nuova avventura dichiarando apertamente (e legittimamente) che Italia Viva avrebbe cercato di portare via voti al PD.

Già prima non lo amavano, poi, dopo questa dichiarazione d’amore, lo hanno amato di più: assicurando l’avversione più totale da parte dei componenti e della dirigenza del suo ex partito verso l’odiato Renzi. Dal punto di vista del conteggio dei voti è difficile dar loro torto. Naufragati momentaneamente i sogni di gloria, è apparsa evidente la necessità di unirsi con altri raggruppamenti appartenenti all’area moderata.

E così abbiamo assistito, senza capirne molto, alla nascita di quei raggruppamenti, dai nomi strani, che non si capiva se fossero delle correnti interne ai rispettivi partiti, o dei sondaggi per decidere se tentare nuove strade in autonomia. Ecco quindi partire, ad esempio, le iniziative di Toti, Brugnaro, Lupi, Carfagna, tutti noncuranti del fatto che qualcosa al centro già ci fosse, tipo la vecchia UDC, miracolosamente sopravvissuta agli impulsi maggioritari del bipolarismo. In quest’ottica, si comprende la notizia che vede la probabile nascita di una nuova federazione di centro (Italia al centro?) che unirà Italia Viva, Coraggio Italia (Toti) e Noi campani (Mastella), e che lavorerà per proporsi alle prossime elezioni politiche.

Così, improvvisamente, prende forza il progetto di riforma elettorale in chiave puramente proporzionale, che consentirà di presentarsi autonomamente al voto, senza che, ad esempio, Forza Italia, si debba dichiarare alleata di forze smaccatamente di destra come Fratelli d’Italia, o populiste di destra come la Lega, e al PD di rendere meno indissolubile l’alleanza con i 5 Stelle.

E’ indubbio che un accordo politico post elezioni tra Forza Italia, il neo partito centrista e la federazione già annunciata tra Azione e +Europa, avrebbe un peso non indifferente, forse addirittura maggiore dello stesso PD. Ci si sta preparando quindi a una battaglia senza scrupoli di oltre un anno per attrarre voti alle prossime elezioni politiche.

Una cosa è però già chiara: nessuno dei leader di questi raggruppamenti si candiderà al ruolo di Presidente del Consiglio. Quella è una seggiola già assegnata in partenza, e ci vede quasi sicuramente seduto quel Mario Draghi che, già oggi, è visto dalla maggioranza della popolazione come il salvatore della Patria. Il fatto che lui poi possa accettare quel ruolo è tutto da vedere, ma gli attori in questione si stanno già rivedendo il film della rielezione di Mattarella.

Indubbiamente, presentarsi alle elezioni con la carta Draghi ben in vista, anche se non dichiarata del tutto, convincerebbe non pochi elettori e batterebbe senza problemi i nomi di Meloni, Salvini e Letta.

Come ho più volte sostenuto, l’arte della politica è sopraffina e richiede abilità ben definite. Nel nostro Paese sono pochi quelli che la posseggono. Tra quei pochi, quello più antipatico pare sia in grado di spostare gli equilibri alla faccia del suo 2%. Amatelo o odiatelo, ma questa è la cruda verità.

 

(5 febbraio 2022)

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