di Vittorio Lussana, #giustappunto
E’ in atto, nella nostra attuale società, una modalità di analizzare cose e problemi totalmente schiacciato sulla prassi, che oltre a dimostrarsi parziale e segmentato, elimina di netto ogni sforzo di fantasia. Si scagliano colpe a destra e a manca, per non dover ammettere di avere alcuni problemi di arretratezza evidenti. Per esempio, ancora oggi si accusa il ‘68 di aver trasformato l’amore in forme di sesso ‘pragmatico’ e volgare. Ma quest’accusa strampalata, denuncia unicamente una sessuofobia evidente.
La liberazione sessuale della fine degli anni ’60 del secolo scorso non fu una degenerazione verso il ‘meccanicismo alienato’, bensì una semplice ribellione contro bigottismi da ‘integrati’ che discendevano dal patriarcato. Una richiesta di libertà espressa con grande coraggio e nelle più svariate forme artistiche, anche quelle più ‘alte’ ed elevate, alla ricerca di nuove visioni etiche e morali.
Esattamente per tali motivi si sta parlando, ultimamente, di ‘educazione sentimentale’ e non semplicemente ‘sessuale’ nelle scuole: per non appiattire il discorso sul piano ‘meccanicista’, tipico di chi possiede una concezione antiquata e maschilista dell’amore, che ritiene ogni richiamo al sesso, anche quello ‘etero’, una semplice ‘chiave introduttiva’ nei rapporti sentimentali medesimi, giudicando implicitamente le donne di essere delle prostitute. Un modo di pensare indotto dal cattolicesimo da migliaia di anni: il vero ‘pensiero unico’ della questione.
C’è un pezzo della nostra società che, purtroppo, intende rimanere fermo sugli schematismi del passato, spesso quello più remoto. Una tendenza nei confronti della quale la cultura cattolico-democratica non è mai riuscita a influire, preoccupandosi unicamente di rimanere al potere. Una sorta di “rivoluzione reazionaria” che cerca disperatamente di sfuggire ogni tematica del ‘rispecchiamento’, rimuovendo le cause di ogni problematica, oppure scaricando ogni responsabilità sugli altri, nel tentativo di difendere una visione elementare della vita e della nostra stessa esistenza.
L’idea, per esempio, che gli “artisti antisistema”, tanto per citare un recente brano musicale di Povia, facciano in realtà parte di una sorta di ‘conformismo’ della ‘trasgressione controllata’ è un modo approssimativo e confusionario di fotografare la realtà. Nei settori artistici, intellettuali e persino in quelli professionali, lo schematismo globalista è lo stesso di sempre: nulla è cambiato dai tempi della critica ‘francofortese’ degli Adorno o dei Marcuse. Artisti e intellettuali vengono assorbiti e utilizzati dal sistema per neutralizzarne le ‘punte critiche’, esattamente come avveniva in passato. E sostenere che le sinistre, oggi, difendano il ‘sistema’ o siano entrate a farne parte, significa confessare la propria incapacità nel saperne anticipare le mosse e condizionarne la direzione di marcia.
Il ‘sistema’ rispolverato dai nostri più recenti ‘teorici dell’autoevirazione’ non ha alcun bisogno di avvocati difensori, né di destra, né di sinistra. E parafrasare Lacan, Sartre o Pasolini ‘alla rovescia’ corrisponde al bislacco tentativo d’indossare un paio di mutande sopra ai pantaloni, al fine di professare un ritorno alle visioni sociali più stantìe del non far nulla o del non cambiare mai nulla. Forzature in atto sin dal primo ‘riflusso’ degli anni ’80 del secolo scorso, le quali hanno generato soprattutto distorsioni, nell’assurdo tentativo di contrastare l’andamento naturale delle società occidentali. E il cammino stesso della Storia.
(14 maggio 2021)
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