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Renzi, Letta e il gioco delle alleanze #iolapensocosì di Marco Biondi

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di Matteo Biondi, #iolapensocosì

Dopo l’incontro Letta/Renzi, torna ancora di più di attualità la questione delle alleanze che non può ridursi solo a Letta che vuole allearsi con il M5S e Renzi che rifiuta tale ipotesi. Proviamo ad andare più in là.

La mia prima considerazione è che ogni partito debba avere una fisionomia ben definita e idee chiare su cosa vorrebbe realizzare una volta chiamato a governare. E ci si aspetterebbe che tale fisionomia andasse oltre le semplici dichiarazioni pubbliche: ecologia, lavoro, attenzione agli ultimi. Perché è semplice affermare che si vorrebbe creare più lavoro, e quindi aumentare il numero dei lavoratori occupati, il difficile è stabilire con quali misure si pensa di riuscire a raggiungere l’obiettivo. Se attraverso la decontribuzione, o con incentivi alle aziende, ad esempio. Col sostegno all’export, piuttosto che con misure di welfare aziendale. Non è banale, tutt’altro. Se, ad esempio il programma dei cinque stelle continua ad essere basato sui sussidi, come si concilia con chi, invece, vorrebbe incentivare le aziende ad assumere?

E quindi arriva inevitabile la mia seconda considerazione: una volta stabilito cosa si vorrebbe realizzare, si potrebbero cercare le alleanze con chi ha, almeno buona parte di progetti in comune. Parlare di alleanze fatte per battere gli altri, sa di protezionismo di poltrone, prima che di programma politico.

Se oggi il PD ha deciso che deve necessariamente allearsi con i cinquestelle, lo ha fatto perché hanno programmi in comune o solo per un mero calcolo numerico di convenienza?

Perché poi, essendo due partiti distinti, è normale che si presentino agli elettori con i propri programmi e le proprie caratteristiche. Se un partito è maggiormente propenso a stimolare il lavoro attraverso incentivi alle aziende e l’altro attraverso azioni a supporto delle esportazioni, è normale che queste differenziazioni rimangano, disposti però a fare sintesi nel caso di future alleanze di governo.

La situazione attuale mi sembra ancora lontana da quello che ho appena descritto, che è la base della politica. Prima serve decidere cosa proporre agli elettori in termini di programmi e poi cercare, anche tramite alleanze, il modo di portare a casa il più possibile dei propri programmi.

Per queste ragioni, io continuo a diffidare delle intenzioni del PD, perché continua a darmi l’impressione di azioni mirate esclusivamente alla conquista di posti di potere. Io credo che prima sia giusto sapere cosa avrebbero intenzione di fare con i miei voti, non con chi pensano di allearsi. Così come ritengo abbastanza superato il concetto di sinistra o centro.

Resta, a mio avviso, in termini d’impostazione della politica economica, ma invece ha poco senso proporlo come semplice slogan per andare a cercare i voti per classi sociali. Chi è al momento disoccupato non è necessariamente un elettore di sinistra. Dategli delle opportunità di lavoro e magari si convincerà che il sostegno alle aziende per nuove assunzioni è più utile e produttivo che non l’erogazione a pioggia di misure assistenziali.

In quest’analisi, manca la valutazione di quanto sembra proporre Italia Viva.

Detto che se ci si basasse esclusivamente sui sondaggi, la cosa sarebbe assolutamente irrilevante, alla prova dei fatti, si scoprirà quanti voti sarà in grado di attrarre sulla base del proprio programma di politica economica. Potremmo ad esempio scoprire che molti attuali elettori di Forza Italia finiranno per scegliere di abbandonare la cordata sovranistra di centro destra a guida Salvini/Meloni, per scegliere qualcuno che abbia, almeno in prospettiva, la possibilità di entrare in una maggioranza, con la quale proporre alcune delle misure di rilancio dell’economia che il sodalizio Letta/Conte da solo non prevedrebbe.

In conclusione, a me piacerebbe che si tornasse a parlare di politica vera, quella delle cose da fare. Da parecchio tempo si sente parlare di correnti nel PD e di rifondazione nei cinquestelle, del vincolo dei due mandati e dei posti di sottosegretariato, senza che si abbia il minimo sentore di cosa questi partiti saranno in grado di proporre ai propri elettori per le cose da realizzare. Credo sia questa la cosa che in questo momento stia facendo maggiormente il gioco della destra. Loro quello che vogliono fare lo stanno dicendo ogni giorno da anni. Che poi non siano in grado di farlo è un altro paio di maniche. Perché la mancanza di una destra democratica nel nostro paese è una della cause dei nostri problemi strutturali.

 Infatti, al di là delle dichiarazioni e dei proclami, essendo improponibile uno spoiling system come avviene negli altri paesi, quelli che si ritrovano nella stanza dei bottoni sono sempre più o meno gli stessi, impegnati a far di tutto perché nulla cambi, garantendosi così il mantenimento dei propri privilegi a vita, anche per le future generazioni.

 

(7 aprile 2021)

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