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Ferragni Educational Channel #milapersiste

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di Mila Mercadante #milapersiste twitter@gaiaitaliacom #Media

 

A un certo punto la notorietà di Chiara Ferragni e la sua strabiliante capacità di aggregare un esercito di giovanissimi che pendono letteralmente dalle sue labbra ha acceso una lampadina nella sua testa, o nella testa di qualcun altro: perché non utilizzare questo successo per veicolare messaggi diversi dai soliti? E’ cominciata l’era Ferragni Educational Channel: si fa immortalare al museo in mezzo all’arte e il giorno successivo l’esercito dei seguaci si riversa al museo; in coppia col marito fa una donazione per l’ospedale anti-covid e poco importa che intorno alla faccenda si scateni una bagarre, l’importante è mostrare partecipazione e sensibilità durante l’evento pandemico; un’altra volta racconta la sua esperienza con l’EMDR, la consiglia alle ragazze vittime di stupro e colpisce due tabù, quello che circonda il disagio psicologico e quello che spesso impedisce alle donne di chiedere aiuto per vergogna e per paura; esprime la sua opinione sull’omicidio di Willy spiegando con parole semplici e dirette che il problema non sono le palestre ma il fascismo e prima ancora che ai ragazzi stavolta piace agli adulti politicamente corretti perché la semplificazione che fa lei è migliore delle altre.

Il fascismo ormai spiega tutto, è un’entità metafisica, una superstizione che assolve la società intera. Il fascismo ci fornisce l’alibi perfetto per non dire che tutto il sistema è profondamente violento e disperato e che si sta dirigendo da solo verso l’autodistruzione e la barbarie. Gli anatemi che il fascismo ha lanciato a suo tempo contro la coscienza di classe sono stati raccolti e coccolati fino a oggi e si sono risolti nella violenza sociale fine a se stessa, fuori dal sistema fascista, all’interno di un sistema crudelmente competitivo basato sugli antagonismi e sulle differenze, che fa dello spirito di adattamento un pregio, del culto del corpo e della forza fisica un valore. La violenza che si sviluppa in ambienti giovanili caratterizzati soprattutto da apatia politica ha un potenziale di disgregazione del tessuto sociale e naturalmente colpisce il diverso, colui che sembra meno adattato, meno conforme (perché è gay, o per il colore della pelle o perché è estraneo a una determinata cricca dominante ecc). I fascisti sono il mezzo più a buon mercato per aggiustare i fatti: non essendoci all’orizzonte l’avvento di una forma superiore di società, ci teniamo questa e la miglioriamo combattendo contro le movide, le palestre, le discoteche, l’MMA e quant’altro.

Ferragni è solo all’inizio, sicuramente l’impegno sociale di una delle influencer più famose del mondo non subirà battute d’arresto. Non credo che i soggetti portatori di idee o di cultura debbano essere necessariamente degli esperti per essere presi in considerazione, anzi: chi non è completamente integrato rende possibili piccole correzioni negli ambiti in cui si muove e lavora. Credo semplicemente che i tecnici della comunicazione (e Chiara Ferragni lo è) tendano inevitabilmente al conformismo e alla manipolazione avvalendosi della loro capacità di suggestione. Questa tendenza è nata molto prima di Ferragni e ci ha portati abbastanza velocemente verso il totale fallimento della coscienza critica e dell’opposizione al potere, due cose bellissime che i più giovani praticano molto raramente o per niente. Il narcisismo collettivo è conseguenza diretta della fallita identificazione con la società nel suo insieme. Con il narcisismo collettivo – che anche i personaggi come Ferragni coagulano intorno a sé –  compensiamo la nostra impotenza sociale e il senso di colpa per non riuscire a fare e a essere ciò che vorremmo. L’appartenenza reale o immaginaria a un mondo, a un ideale o a un modo di vivere che contiene in sé tutto ciò che manca genera un senso di appartenenza confortante. Questo avviene a tutti i livelli, dal più basso al più alto, da quello politico a quello del glamour o della palestra e a ogni livello corrisponde un linguaggio. Chiara Ferragni è un’industria, un marchio, il suo linguaggio immediato è perfetto per il consumo, così ogni suo messaggio sociale è e sarà solo orizzontale, non attecchirà nel modo giusto perchè l’identificazione con l’influencer che va al museo manca della “comprensione” della cosa. Manca il terreno di coltura che determina il desiderio di osservare una tela del ‘600 esattamente come manca il senso a quel desiderio di possedere un determinato modello di scarpe o di riempirsi di tatuaggi.

 

(11 settembre 2020)

©gaiaitalia.com 2020 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 

 




 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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