di Giovanna Di Rosa #Lopinione twitter@parmanotizie #Parma
Non intendiamo entrare nel merito della vicenda, che non conosciamo e della quale hanno già parlato in tanti qui, ma è certo che la gestione della cultura e degli spazi di fruizione culturale, anche a causa di una legge sullo spettacolo (secondo noi scandalosa) che favorisce gli accorpamenti e la conservazione e non l’innovazione e la ricerca, cade spesso in una difesa da orticello che poco ha a che vedere con quello che dovrebbe essere il ruolo di chi produce cultura.
Non abbiamo rapporti di lavoro né di conoscenza diretta con nessuno dei soggetti interessati, e la nostra presenza a Parma è soltanto virtuale, attraverso questa testata, pertanto riteniamo di essere al di sopra di ogni sospetto se cogliamo l’occasione per esprimere una critica ad un sistema, che non appartiene solo a Parma, ma è così tristemente italiano, ed è il volersi conquistare uno spazio e tenercelo finché morte non ci separi. Dunque io, titolare del teatrino della straziante solitudine del bruco, per dirne una, mi vedo assegnare uno spazio da gestire, magari sono anche bravino, e col tempo – se proprio scemo non sono – divento anche più bravo, perché l’esperienza conta (raramente insegna, ma conta) e quindi rimango su quel territorio per una vita intera fungendo, in termini culturali, da tappo, alla necessaria evoluzione culturale di quel territorio.
Perché invece di starci una vita in un posto – a Roma ne vediamo di tutti i colori, gente che sta dove sta per cinquant’anni, fin quando non ha più nemmeno la forza di produrre, ma continua a stare dove sta e magari passa il suo [sic] teatro al figlio, che spesso di teatro non sa un accidente – ci si potrebbe stare una decina, una quindicina d’anni; gli enti locali potrebbero mettere gli spazi a bando sul serio senza condizioni che impediscano ai nuovi soggetti di entrare e se proprio devono giocoforza costruire i bandi in quel modo, potrebbero inserire clausole dove ci sia l’obbligo in qualche modo di aprire a nuove forze che non debbano essere necessariamente graditi alla vecchia gestione che dovrebbe considerare i progetti. E non le simpatie.
Questo detto non stupisce affatto il conflitto di cui al titolo, quel pasticciaccio brutto lì, perché fa parte del questo è mio e questo è tuo che si mette insieme, ma rimane mio e tuo fino a quando non scoppiano i conflitti, le carte bollate, e devono parlare le diffide e le procure con esposti e preposti. Lo abbiamo visto succedere tante volte, in tante parti d’Italia. perché la natura umana non cambia mai. E si pretende sempre di stare dove si sta fin quando vogliamo noi e alle nostre condizioni, cedendo troppo spesso alla tendenza di considerare ciò che è pubblico come se fosse proprietà privata. E’ una gran brutta tendenza comune a tutti gli esseri umani. Speriamo così che gli umani protagonisti di questa storia tutta emiliana, nella città Capitale della Cultura 2021 (essendo il 2020 stato spazzato via dal Covid-19), riescano ad essere un po’ più ragionevoli di quanto le tristi storie che già conosciamo non abbiano già raccontato.
Per il bene delle strutture coinvolte e della città.
(18 luglio 2020)
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