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Luigi Di Maio accidentalmente dice cose sensate su Internet e TV e “Libero” lo attacca ad usum Mediaset

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di Daniele Santi #Internet twitter@gaiaitaliacom #Televisione

 

 

Accidentalmente il ministro del Lavoro che conosce poco il lavoro, per essere nato in una zona disagiata, diciamo così, ha fatto alcune affermazioni su internet e sulla televisione che sono, accidentalmente, affermazioni che hanno una loro coerenza e verità.

Le riporta il quotidiano Libero che le trasforma, con alcuni commenti insensati e totalmente fuori dal tempo e dallo spazio, in boutade senza nessun fondamento. Spiace dirlo, trattandosi di Di Maio, ma quando dice qualcosa di sensato bisogna ammetterlo.

A proposito di televisione e internet il ministro del lavoro ha scritto sul Blog delle Stelle.

“Noi del MoVimento è da anni che diciamo che con l’avvento della Rete sarebbe cambiato tutto e i media tradizionali ne avrebbero fatto le spese (…) Morgan Stanley ha pubblicato un report sul futuro della televisione con dati inequivocabili: in Italia al momento Netflix ha una penetrazione stimata attorno al 6%, ma cresce a un ritmo del 3% l’anno e quindi raggiungerà il 20% in 5 anni. Quello sarà il punto di non ritorno (…) una volta che Netflix entra in una casa, il consumo di tv tradizionale cade del 16-30%. Per di più è finita la crescita della pubblicità, che rappresenta tra il 50 e il 90% dei ricavi delle tv tradizionali (…) dico che è tempo che in Italia si inizi ad anticipare il futuro e a fare investimenti che vanno nell’ottica delle nuove tecnologie e non di quelle vecchie (…) fondamentale il 5G ad esempio, la banda larga (…) incentivare la fornitura di quei servizi che possono essere di supporto alle piattaforme di oggi e nel medio e lungo periodo investire in nuovi modelli di business e nuove tecnologie per sviluppare a casa nostra le piattaforme del futuro (…) se la prossima Netflix sarà italiana dipende dagli investimenti che facciamo oggi (…) un prodotto italiano di successo diffuso su Netflix o piattaforme simili, sarebbe un volano importante per far conoscere il nostro stile di vita e per far ripartire la nostra industria culturale (…) su questo devono interrogarsi anche le grandi aziende culturali del Paese, in primis Rai e Mediaset”. 

Si tratta di uno dei pochi discorsi sensati che abbiamo letto di Luigi Di Maio, così sensato da scatenare l’attacco cieco e furioso di Libero in difesa dell’industria televisiva di casa Mediaset, l’industria di Famiglia, che è anche il datore di lavoro, diciamo così, del quotidiano berlusconiano.

Secondo Libero “il vicepremier gioca a fare il dirigista con il portafogli degli altri, dimentica e mortifica le eccellenti produzioni televisive italiane [sic] che alimentano l’industria culturale del nostro Paese…”… Ecco.

Definire “eccellenti” le produzioni televisive italiane è molto più che non avere senno, è non sapere di cosa si sta parlando. Mediaset è riuscita infatti a rendere parziali e faziose anche le telecronache degli incontri di Russia 2018, nonostante l’Italia non partecipi. I programmi delle reti berlusconiane sono inguardabili, diciamocelo, tanto li guardano lo stesso. Sono talmente inguardabili che addirittura la dirigenza aziendale è dovuta intervenire nel corso dell’ultima stagione, e apiù riprese, per sospenderne alcuni tra i quali Balalaika.

Dove Libero trova tutta ‘sta qualità proprio non lo capiamo.

Se invece l’obbiettivo è dar contro a Di Maio che per una volta coglie nel segno lo dicano, perché il discorso del vicepremier rispetto a Internet, non fa una piega. Anzi, se i due catafalchi della televisione italiana se ne fossero resi conto non starebbero lì dove stanno, immobili come mammuth pietrificati a vendere sempre le solite facce, i soliti programmi, le solite insulsaggini, i soliti giornalisti-servi di partito, i soliti approfondimenti che non approfondiscono nulla.

Cosa? State suggerendo che Di Maio non farebbe certo di meglio? Certo, ma il punto non è quello.

Anche Di Maio quando ha ragione, ha ragione. Magari by accident, ma ce l’ha. E del resto diteci, colleghi di Libero, la qualità della produzione culturale televisiva italiana dove starebbe, nei lacrimifici di Barbara D’Urso?

 

 




 

(2 luglio 2018)

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