di Vittorio Lussana #Giustappunto twitter@gaiaitaliacom #Acquarius
L’errore del portavoce del presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, non è tanto quello di aver stigmatizzato la politica migratoria del nostro attuale Governo con giudizi sprezzanti, bensì di aver fornito, sostanzialmente, una ‘non notizia’: gli italiani sanno perfettamente chi e cosa sono. E non se ne vergognano minimamente. Sarebbe perciò il caso di ampliare il nostro sguardo, per andare a rintracciare spiegazioni culturalmente più specifiche e fondate di questa nostra condizione pietosa, al fine di entrare nel merito di una simile inconsapevolezza collettiva. In un Paese fondato sul tornaconto personale, la questione della nostra mancanza strutturale di senso civico affonda le proprie radici molto indietro nel tempo. E quando un tratto del genere si conferma platealmente, come nel caso di Matteo Salvini, esso diviene un ‘tòpos’: un punto cardinale delle rappresentazioni, individuali e collettive, di un popolo. Tentare di costruire nuove e più efficaci locuzioni sintetiche, frutto di buone interpretazioni teoriche, sarebbe l’imprescindibile via ermeneutica da imboccare. Ma per far questo, siamo costretti a dar ragione alla riflessione di Karl Marx – per lo meno sotto il profilo sociologico – rispetto a quell’etica protestante ‘weberiana’ che risulta un qualcosa di troppo ‘mittle europeo’ per il cattolicesimo controriformista italiano. Esiste, cioè, una precisa barriera che impedisce ogni processo di rinnovamento identitario e ‘spirituale’ di questo popolo: il peso di un contesto sociale che non crea affatto le condizioni per convincenti tentativi di evoluzione, finendo addirittura col rafforzare le interpretazioni più ‘familiste’ e ‘particolariste’ del singolo individuo. Una sorta di ‘diabolica torsione’ del cattolicesimo, che tende a giustificare anche gli atti e le interpretazioni più paradossali in tutto quel che facciamo, o che accade intorno a noi.
Tenere insieme l’approccio strutturale e quello culturale, evitando qualsiasi operazione di rimozione, è l’unica ‘via di fuga’ per superare una simile empasse, che dura ormai da più di mezzo secolo e che ci impedisce ogni sincera operazione di self analysis, individuale o collettiva che sia.
Ciò dimostra anche la correttezza della principale obiezione del sottoscritto, di cui sono pronto ad assumerne la piena responsabilità, intellettuale e morale: chi, in questo Paese, periodicamente torna a parlare di onestà, o si pone ingenuamente alla ricerca di un’etica, dimostra semplicemente di non possedere né l’una, né l’altra. E ciò non rappresenta solamente una barriera, ma finisce col generare e procurare ulteriori danni, i quali vanno a sommarsi a tutte le altre pesantissime zavorre che quest’Italia disperata trascina con sé. Ecco perché sarebbe il caso di tornare a confrontarsi, almeno in termini meditativi, con alcune tradizioni politiche e culturali del passato, come quella socialdemocratica per esempio.
Noi lo diciamo dai tempi dell’Ulivo: abbiamo bisogno di prendere a prestito alcune bussole d’orientamento precise, al fine di contrastare una tendenza sociologicamente gommosa della nostra società, che finisce col procedere esclusivamente per tentativi ed errori, senza mai sapere bene dove ‘diavolo’ sta andando, o dove caspita vorrebbe andare a ‘parare’. In pratica, senza mai riuscire a prendere la mira.
(14 giugno 2018)
©gaiaitalia.com 2018 – diritti riservati, riproduzione vietata
Iscrivetevi alla nostra newsletter (saremo molto rispettosi, non più di due invii al mese)