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Il tour apologetico del magnate che, da 14 anni, difende l’indifendibile

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di Daniele Santi #facebook twitter@gaiaitaliacom #apologizetour

 

 

 

I quotidiani americani lo hanno già battezzato “The Apologize Tour”, tour delle scuse – parola più ambigua in italiano che in inglese – e si riferiscono all’impegno del patron di Facebook, uomo ricchissimo che governa un impegno da due miliardi di utenti, un mostro sempre più pericoloso, che Mark Zuckerberg ha dovuto mettere in campo per convincere le gli americani, ergo il mondo, che il social blu è innocuo e che tutte le colpe ricadono su di lui, il Capo, che ha creato e dirige il mostro.

E’ un bell’atteggiamento che piace alla borsa, che ricomincia a guardare con una certa tenerezza ai titoli tecnologici, ma che cela molti “Non so”, “Non ne nero al corrente”, “Non so come sia potuto succedere” e conferma come, da quattordici anni a questa parte, Zuckerberg dica sempre le stesse cose senza mai dare spiegazioni reali sul funzionamento della sua macchina di controllo mondiale.

 

 

“Sappiamo che quelle informazioni sono state vendute ad altre aziende. Ma stiamo lavorando perché non accada più”, come è possibile fidarsi? E la fiducia starà tutta nel fatto che Facebook e Twitter hanno ricominciato a guadagnare in borsa? “Ho creato Facebook, lo gestisco e sono responsabile di ciò che vi accade”. Se è vero che l’Italia è pronta a chiedere i danni a Facebook (lo scrive il Corriere a questo link, stranamente non raggiungibile, e riprendono la notizia anche altri quotidiani come Sussidiario.net): il garante della privacy contesta infatti a Facebook di avere “permesso un trasferimento di dati alla società Cambridge Analytica senza il consenso degli interessati, cambiando la finalità d’uso a fini di propaganda elettorale. L’Italia sarebbe pronta” secondo il Corriere, “a chiedere l’applicazione delle sanzioni previste dal Nuovo regolamento europeo – che saranno operative dal 25 maggio prossimo — pari al 4 per cento del fatturato globale della società. Ma soprattutto amplierà l’indagine alle altre aziende specializzate in marketing politico che avevano siglato accordi con il colosso californiano di Mark Zuckerberg. Il sospetto è che i profili italiani coinvolti nello scambio illecito di informazioni siano ben più dei 214.134 comunicati inizialmente“. Zuckerberg ha anche aggiunto che Facebook è stato lento “sulle minacce di inteferenze russe sul voto USA” che rappresenta il grosso casino della questione.

Le aziende e i brand che hanno lasciato il social blu non sembrano preoccupare eccessivamente Zuckerberg, anche perché fu proprio una sua scelta quella dei mesi scorsi di privilegiare i contatti tra amici e famigliari, a discapito della comunicazione aziendale e politica… Perché stava già tentando di salvare il gioiello di famiglia.

Racconta Repubblica

A metà del 2016, a San Antonio, è nato Progetto Alamo. Era guidato da Brad Parscale, braccio destro di Donald Trump sui social, a capo della campagna elettorale e la raccolta fondi su Facebook, Google, Twitter e YouTube. Gli elettori venivano individuati e bombardati di messaggi personalizzati grazie al data base della compagnia inglese Cambridge Analytica nata con la collaborazione del falco di estrema destra Steve Bannon. E in quegli uffici c’erano anche gli analisti di Google e Facebook. Sul social network Parscale aveva investito 94 milioni di dollari in spazi pubblicitari. Strano che dentro Facebook non evessero capito che qualcosa non andava avendo là i propri uomini. La domanda arriva dalla senatrice Maria Cantwell, forse la più tagliente assieme al collega di partito Patrick Leahy, che cita anche Palantir Technologies. E’ l’azienda fondata fra gli altri da Peter Thiel, uno dei pochi sostenitori di Trump in Silicon Valley, e simile a Cambridge Analytica. Zuckerberg però si nasconde dietro vari “non so” e “non ne sono a conoscenza”…

 

In realtà vere e proprie risposte non ce ne sono e starà a noi decidere se continuare a fidarci o no. Alla domanda su quanti e quali dati delle persone vengano usati da Facebook, Zuckerberg ribadisce che vengono utilizzati solo quelli necessari per far funzionare la piattaforma, e che Facebook non li vende e che gli utenti hanno il potere di decidere cosa e quando condividere. Rispetto a Cambridge Analytica poi ripete la vecchia storia, ormai antica:  “Abbiamo chiesto di cancellare quei dati a Cambridge Analytica e ci siamo fidati della risposta. E’ stato chiaramente un errore. Non è facile evitare gli sbagli quando si costruisce un’azienda del genere in un garage nel 2004 e si arriva a due miliardi di utenti”.

Poi il Senatore Bill Nelson gli chiede a muso duro: “Condividerebbe il suo hotel di ieri sera?”, Zuckerberg è imbarazzatissimo e risponde: “No!”.

 

La storia è appena iniziata. Anzi ha avuto inizio 14 anni fa quando Zuckerberg ha cominciato a dare la sua versione, mai verificata altrimenti, sull’utilizzo dei dati degli utenti e sulle regole interne di Facebook. Regole che gli utenti non conoscono, le informazioni a disposizione sul social sono poco chiare e la comunicazione coi responsabili del social blu praticamente impossibile, e che Facebook, e quindi Zuckerberg, si guardano bene dal divulgare.

Scopriremo di altre aziende che hanno utilizzato i nostri dati, forse scopriremo anche che un apparentemente innocuo passatempo virtuale sul social blu può essere stato il nostro Cavallo di Troia. Le verità scomode si confessano sempre una per volta. Così le vittime le digeriscono meglio.

 




 

(11 aprile 2018)

©gaiaitalia.com 2018 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 




 

 

 

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