di Vittorio Lussana twitter@vittoriolussana
Dopo la vittoria alle elezioni politiche del 18 aprile 1948, si aprì per l’Italia una lunga fase di soffocante ‘grigiore centrista’. Per i cattolici, galvanizzati da un’egemonia ben presto definita “presenza cristiana nella società”, l’invito alla repressione sessuale fu solo uno degli aspetti di un progetto educativo a più ampio ‘raggio’, volto a formare un esercito di devoti fedeli con l’ausilio di strumenti quali: la stampa per ragazzi; l’associazionismo sportivo; il cinema; gli oratori fondati sul binomio giuoco-preghiera; la letteratura giovanile; e, soprattutto, la scuola. A ‘confessionalizzare’ l’istruzione italiana di ogni ordine e grado provvide l’esponente democristiano Guido Gonella, assiduo frequentatore di ambulacri vaticani e ininterrottamente ministro dell’Istruzione pubblica dal 1946 al 1951. Circondato da uno stuolo di consulenti e coadiuvato da potentissime organizzazioni di insegnanti cattolici, egli riuscì, in qualche modo, a “legare l’avvento della democrazia postfascista a istanze incentrate sullo sviluppo della partecipazione popolare attorno al dispiegamento della sua vocazione comunitaria e religiosa basata sulla famiglia, sui gruppi delle comunità locali e, naturalmente, sulla Chiesa”. Ma Gonella non si limitò solamente a saziare il desiderio di rivincita di ‘ambienti’ decisi a disciplinare ‘otia e negotia’ di un settore particolarmente nevralgico dell’impostazione culturale, morale e civile degli italiani, bensì s’impegnò a fondo al fine di rendere più proficuo, in termini moralistici, l’esercizio stesso dell’insegnamento, almanaccando una riforma della scuola media ‘unica’ attorno a criteri totalmente personalistici, che configurarono il triennio ‘post-elementare’ in quanto mero ‘segmento’ dell’obbligo scolastico e non come ‘raccordo’ per il proseguimento degli studi. Oltre a ciò, la scuola italiana, per interi decenni, si ritrovò letteralmente ‘inondata’ di testi e manuali assolutamente ‘sermoneggianti’, come ad esempio i lavori di Fanciulli, Anguissola e Visentini, sponsorizzati direttamente dall’Azione cattolica, mentre nulla venne fatto per assecondare un fondamentale istinto alla lettura dei ragazzi. Anzi, la letteratura per bambini e adolescenti, da sempre infarcita di avventurismo ‘salgariano’ per i maschietti e dal ‘vezzosismo’ di Louise M. Alcott, – l’autrice di ‘Piccole donne’ – per le femminucce, venne addirittura condannata in quanto impregnata di ideologia ‘superomistica’ (Salgari) o squisitamente ‘edonista’ (Alcott), mentre sarebbe stato più auspicabile un tratto culturale ispirato a un ‘esotismo’ a sfondo coloniale e missionario. Ed ecco allora tutto un fiorire di tentativi editoriali, come per esempio la collana ‘Vie della sapienza’, curata da Piero Bargellini per l’editore Vallecchi, o l’ingresso nella narrativa del pedagogista Luigi Volpicelli con il suo, peraltro modesto, ‘Giuffé’. L’attenzione maggiore rimase concentrata sui testi di letteratura ‘coatta’, in cui venne letteralmente ‘assassinata’ ogni forma di sapere eclettico e di passionalità giovanile alla lettura formativa attraverso ‘pesantissime’ antologie scolastiche – Centiloquio, Pagine aperte, Due secoli – alle quali l’instancabile Bargellini vi si dedicò nell’idiota convinzione che un semplice marchio di convalida ministeriale potesse renderle formidabili veicoli di trasmissione dei principi cristiani. Ma ecco che, proprio sul più bello, a ‘scompaginare’ ogni piano di ‘irrigimentazione’ cattolica della formazione culturale giovanile giunsero, inaspettati e vincenti, i ‘fumetti’: un veicolo eccezionale di lettura facile e divertente. Subito, le gerarchie cattoliche cercarono di debellarli, ora teorizzando interventi a ‘colpi di forbice’, ora investendo il mondo politico italiano di anatemi e inviti a battaglie ‘campali’. Secondo Luigi Volpicelli, i fumetti nascevano “con la pistola in mano” e non potevano ‘disincagliarsi’ dalla rete di violenza e di sadismo che li rendeva allettanti, poiché ‘figliastri’ di un cinematografo sulle cui nulle potenzialità didattiche il giudizio rimaneva inappellabile. Ma, alla fine della ‘fiera’, per la cultura cattolica si trattò di una sconfitta micidiale, clamorosa, causata da un ‘cipiglio’ conservatore che riuscì solamente a ‘sottostimare’ persino le grandi capacità artistiche di alcuni disegnatori italiani, come per esempio quelle del ‘delirante’ Benito Jacovitti, con le sue tavole affastellate di surreali lische di pesce e di assurdi salami tagliati a metà.
(12 gennaio 2017)
©gaiaitalia.com 2017 – diritti riservati, riproduzione vietata