di Vittorio Lussana twitter@vittoriolussana
Dal ‘neorealismo’ ai ‘cinepanettoni’:
come ci siamo arrivati?
Indagine su come la società italiana sia letteralmente ‘naufragata’ dall’intellettualismo ‘alto’ all’autoreferenzialità più volgare e di ‘pancia’, senza riuscire a fermarsi, se non in rari casi, su alcun territorio di ‘mezzo’
Paradossalmente, la ‘spettacolarizzazione’ della politica ha finito con lo svuotare, in larga parte dei Paesi occidentali ma anche dell’Europa orientale, ogni reale valore culturale nel mondo dello spettacolo, anche di quello più ‘alto’. Ciò è una diretta conseguenza del cosiddetto ‘crollo delle ideologie’ che, purtroppo, ha trascinato con sé anche un abbassamento del livello qualitativo di tutti gli altri settori della cultura, da quelli più propriamente ‘empirico-scientifici’, a quelli eminentemente ‘artistico-culturali’. La cultura dell’intrattenimento e dell’evasione ‘spicciola’ ha finito col trionfare definitivamente, mandando in soffitta valori e contenuti maggiormente educativi o ‘edificanti’. Nel mondo del cinema, come in quello della rappresentazione teatrale, è avvenuto un processo di definitiva ‘omologazione’, che procede inesorabilmente separando il mondo della cultura ‘alta’ da quello di consumo, senza alcuna ‘camera di compensazione’. La ‘faglia’ si è aperta anche per gli eccessi di ideologizzazione avvenuti nella seconda parte del XX secolo, in cui si è pensato di poter applicare alle arti e alle scienze il metodo e le ‘ricette’ della dottrina ‘marxista’, la quale ha finito col fagocitare anche i presupposti sociologici più interessanti che avrebbero potuto favorire la nascita di una più moderna cultura ‘media’ non banale o eccessivamente ‘mercificata’. Un esempio di quanto andiamo dicendo lo si può trarre da un servizio, pubblicato nei mesi scorsi proprio su Gaiaitalia.com, relativo agli anni del cinema di dignitosa serie ‘B’ di Bud Spencer e Terence Hill. Ma un’analisi più approfondita dobbiamo pur ‘abbozzarla’, per non rimanere prigionieri di un mero esercizio ‘nostalgico’ di rimpianti per un passato il quale, invece, avrebbe potuto produrre un ‘dottrinarismo’ culturale ‘liberal’, da contrapporre a un più laico e moderno ‘scetticismo’ moderato. Si tratta di una grande occasione ‘mancata’, che ha finito col generare un processo di ‘massificazione’ commerciale in cui anche gli elementi più trasgressivi, fondamentali a far uscire la società occidentale da una lunga fase repressiva, determinata dal bigottismo cattolico, sono stati dati in ‘pasto’ al pubblico senza alcun ‘filtro’ antropologico in grado di anticipare tendenze e fenomeni, nel tentativo di ‘governarli’. In buona sostanza, il processo di secolarizzazione occidentale è avvenuto in maniera eccessiva e lutulenta attraverso contraddizioni, improvvise accelerazioni e potentissime ‘frenate’. Una trasformazione avvenuta troppo ‘dall’alto’ e mal distribuita, in termini culturali, che ha creato, da una parte, ‘nicchie’ quasi ‘settarie’ di acculturazione ‘alta’ contrapposte a disordinati processi di ‘inculturazione’ e di bassa ‘volgarizzazione’. Da qui alle prossime settimane proveremo dunque a ripercorre le principali vicende storiche di alcuni settori della cultura italiana, per comprendere cosa sia veramente accaduto nel corso degli ultimi decenni.
IL CINEMA: ASCESA E CADUTA DELLA ‘SETTIMA ARTE’
Significativo, in tal senso, è proprio il ‘percorso storico’ del settore cinematografico italiano, che sin dai tempi del fascismo si proponeva, qui da noi, di dar vita una vera e propria ‘industria’ artistica della creatività. Al di là della recente ‘fuffa berlusconiana’ di una produzione televisiva che ha finito col contaminare anche il comparto della cinematografia dando il ‘la’ a un ‘genere’ totalmente evasivo – quello dei ‘cinepanettoni’, con le sue ‘veline’ e le sue ‘starlette’ – la tendenza ai ‘filmetti’ insulsi, in cui la comicità ha finito col venir rappresentata da maschere noiose, volgari, indisponenti e di basso profilo, ha toccato il suo culmine negli anni ’80 del secolo scorso, grazie alla superficialità dei fratelli Vanzina, che con il loro, peraltro modesto, ‘Sapore di mare’, hanno voluto fotografare ‘staticamente’ il mito delle vacanze a Forte dei Marmi ‘dell’italietta’ post boom economico degli anni ’60, mescolando indulgenza sui nostri caratteri più ‘cialtroneschi’ insieme a tanta ‘smielata nostalgia’ verso il ‘centrismo’ democristiano. Tutto ciò senza voler minimamente comprendere come la ‘settima arte’ possa e debba svolgere una preziosa funzione di indagine e di analisi antropologica della nostra vita quotidiana. Il cinema italiano, infatti, è stato lo ‘specchio’ più fedele dei cambiamenti avvenuti, sia in Europa, sia nel nostro Paese. La ‘commedia all’italiana’ ha saputo donare al pubblico spunti satirici e verità ‘squarcianti’, che hanno realmente illuminato le ordinarie vergogne di una ‘cieca’ corsa tutta italiana verso un benessere grettamente materialistico. Veniamo inoltre ricordare, in questa sede, come ‘Divorzio all’italiana’ di Pietro Germi, tramite una ‘scettica eleganza’, abbia saputo scherzare sull’assurdità di un codice penale che non puniva i ‘delitti d’onore’ del ‘maschio’ italiano, mentre ‘Una vita difficile’ di Dino Risi ha affrontato di ‘petto’ il dramma di quegli italiani che avevano creduto negli ideali della Resistenza e che, poi, si sono visti travolti dalla ‘iattanza cafona’ dei tanti ‘neoricchi’. Sempre Dino Risi, ne ‘Il sorpasso’, ha saputo ritrarre, attraverso un ritmo filmico tutto ‘a singulti’, la ‘giornata-tipo’ di uno dei tanti ‘parassiti’ che raccolgono le briciole dei nuovi modi di vita imposti da una modernità vacua, canagliesca e, alla fin fine, amarissima. Purtroppo, in questo settore artistico – come in quello televisivo – le leggi del successo e della commercializzazione sono riuscite ben presto a imporre la superficialità e l’involgarimento. Alcune pellicole di buona fattura hanno infatti preteso di ‘intonacare’ la nostra ‘Storia–Patria’ diffondendo ideologie giustificazioniste e autoassolutorie: ne ‘La grande guerra’ di Mario Monicelli e in ‘Tutti a casa’ di Luigi Comencini sono state presentate figure di italiani i cui tratti indolenti sono addebitati alla nostra tradizionale ‘arte di arrangiarsi’, mentre la satira ha spesso degenerato nel ‘macchiettismo’ e nella bonaria presa in giro – mi sto riferendo, in particolare, al film ‘Il vigile’ di Luigi Zampa – di costumi e modi di vivere accettati con eccessiva indulgenza. Fortunatamente, qualcuno a un certo punto si è accorto che certe nostre ‘istituzioni’ non tenevano più: con tocco assai delicato, il grande Luchino Visconti, in ‘Rocco e i suoi fratelli’, ha saputo fotografare una famiglia di immigrati la cui esigua manciata di valori morali finisce col venir letteralmente ‘bruciata’ dai labirinti della grande città, mentre il geniale e fantasioso Federico Fellini, ne ‘La dolce vita’, è stato uno dei pochi a raccontarci una Roma stordita e corrotta, dove ogni compostezza sprofonda quasi sempre in un paganesimo provinciale che celebra i propri riti goderecci senza nemmeno attingere a una ‘grandiosa malvagità’. In seguito, giunse l’epoca del cinema ‘di denuncia civile’, dalla chiara impronta politica. Su tale versante, decisamente ‘accecanti’ furono i film di Francesco Rosi (‘Le mani sulla città’ e ‘Il caso Mattei’); addirittura ‘radiografici’ quelli di Elio Petri (‘A ciascuno il suo’ e ‘La classe operaia va in Paradiso’); dolorosamente poetici quelli di Pier Paolo Pasolini (‘Uccellacci e uccellini’ e ‘Mamma Roma’). A rammentarci come l’istituzione maggiormente priva di tenuta sia proprio la famiglia ci pensarono Marco Bellocchio (‘I pugni in tasca’), il ‘crudo’ Salvatore Samperi (‘Grazie zia’), il quasi ‘onirico’ Marco Ferreri (‘Dillinger è morto’), i quali appuntarono i loro ‘strali’ contro le atrocità del matrimonio e gli egoismi dei moderni rapporti di coppia, al fine di sottolineare le ipocrisie del ‘familismo amorale’ degli italiani. In ogni caso, tranne queste eccezioni, la nostra produzione cinematografica ha dato spesso l’impressione d’intrattenere con la realtà italiana un rapporto sovrastato dalle bronzee leggi degli schematismi ideologici: da una parte si è riprodotta un’Italia arcaica, pervasa da forme di sfruttamento e di sopraffazione che lo sviluppo economico non è mai stato in grado di ‘intaccare’ o, quanto meno di correggere; dall’altra, si sono rincorsi i volti di una borghesia concepita nel più ‘idealtipico’ dei modi, come banale epifenomeno la cui ‘coscienza storica’, quando esiste, rappresenta solamente un ‘rivolo di spurgo’. E’ stato sostanzialmente questo il giudizio espresso sulla società italiana dal predominio ‘italo-marxista’ sulla nostra produzione culturale. Ed è questo il motivo per cui tanti nostri giovani ‘Maestri’ si ritrovano, nel corso dell’attuale ‘transizione’ italiana, culturalmente ‘in mezzo al guado’, tra onirismi ‘anarcoidi’ e irrequietezze piccolo borghesi, completamente ‘spaesati’ innanzi alla questione di non riuscire a ‘inquadrare’ un nuovo modello di società. L’errore culturale commesso dal mondo intellettuale più ‘alto’ è proprio quello di aver preteso di gettarsi ‘a capofitto’ nell’applicazione della teoria del materialismo storico alle arti e alle scienze, tentando di rompere il proprio ‘accerchiamento’ avvinghiandosi a una snobistica immagine di ‘intellettualità’, in molti casi puramente autoreferenziale.
(16 dicembre 2016)
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