
di Il Capo
Far cadere una giunta per legittimarsi come candidato della larghissima, inconcludente e smargiassa opposizione all’attuale governo del PD? Soltanto in questo paese qualcuno può arrivare a tanto. Se poi quel qualcuno si chiama Matteo Salvini allora davvero non stupisce nemmeno più di tanto. A Firenze, amatissimo luogo natìo dell’attuale Presidente del Consiglio, di fronte a una platea assai affolata (50mila persone, diceva in tivà subito dopo, perché non 100, 200, 300mila, perché non un milione di persone?) ha tuonato “Dopo Trump e la Brexit ripartiamo per andare a vincere”, perché è noto che il politicume della Lega può paragonarsi a ciò che succede in altri paesi che, al contrario di Salvini, la democrazia sanno cos’è.
E’ il politichino del nuovo millennio, quello che sposa il razzismo e l’odio per l’altro senza avere i coglioni – per fortuna – per accompagnarlo ad un progetto politico, quello che si è messo in fila tra i pretendenti alla poltrona di Palazzo Chigi decidendo che dopo il referendum si andrà a votare, gridando in piazza che le elezioni non dipendono da Mattarella (e da chi di grazia? Salvini da solo può sciogliere le Camere? Cosa ci siamo persi?), unendo le sue grida a quelle dei poveracci a 5Stelle che solo gridare sanno, immediatamente stoppato da Parisi – l’uomo di Berlusconi dentro Forza Italia – che ha commentato “Noi non siamo quella roba lì”. Eversione da bar sport.
Posto che “quella roba lì” l’ha sdoganata il vecchietto di Arcore e che senza il vecchietto di Arcore non ci sarebbe Lega, ci vuole il coraggio dell’incoscienza a presentarsi come il nuovo dopo vent’anni dentro la Lega passando attraverso tutti gli scandali dell’allegra compagnia di Bossi, e rifacendosi una verginità costruita sull’odio verso gli ultimi che sbarcano dai barconi se non affogano nel Mediterraneo. Salvini ha visto nella vittoria di Trump l’occasione buona per legittimarsi come il Trump italiano, come se l’Italia fosse l’America e paragona le sue vittorie (Gallarate, Cascina) a quelle di Donald Trump in Florida. Ci sarebbe da morire dal ridere, se non ci fosse da piangere. Dunque dopo l’alleanza con Le Pen in Europa, dopo avere diviso un palco a Roma con Casapound e Giorgia Meloni, dopo il suo barcamenarsi attorno al 15% nei sondaggi (come Forza Italia), dopo che da mesi e mesi sta rubandosi gli elettori intolleranti con il M5S, eccolo il nuovo Salvini: nessun programma, ma confuso e l’autocelebrazione di sé nella candidatura alla guida dell’estrema destra italiana al grido di “Se il 4 dicembre vince il no si va a votare, scelgono i cittadini e non Mattarella. Chi è Mattarella?”.
Il serbatoio che alimenta lo squallore populista in questo paese è davvero senza fine?
Non si sa, di fatto il candidato-premier Salvini ha dimenticato di fare un minimo accenno alla vicenda della giunta leghista di Padova fatta saltare da ben 17 (diciassette) consiglieri e retta (fino al patapum) dal suo numero due. E’ un grande questo Salvini.
(13 novembre 2016)
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