di Giancarlo Grassi
L’apparizione di Gianni Cuperlo ricorda un po’ quella della reginetta della festa alla quale vengono requisiti improvvisamente scettro e coroncina e lei, neppure a distanza di tempo dimostra di avere digerito il colpo e continua ad esprimersi con parole simile a coltellate. Cuperlo rappresenta il fallimento politico più rotondo che il Pd sia stato in grado di rappresentare: un fallimento politico di tale portata che i suoi sostenitori dovrebbero starne alla larga, perché il fallimento di Cuperlo e delle sue istanze fumose, senza senso né senno, obsolete, è il fallimento di tutta la corrente del 17% alle primarie vinte da Renzi. Durante la direzione nazionale del 4 luglio Gianni Cuperlo non si è smentito: non ha detto nulla. Nulla che avesse un senso politico. Nulla che avesse una parvenza di progetto proiettato al futuro. Nulla che fosse seppur lontanamente riconoscibile come proposta politica. Nulla che non fossero stilettate nei confronti di Renzi, colpevole di avere “scippato” il partito a coloro per i quali il Pd è sempre stato un fatto privato da gestirsi tra perdenti, tra minoranze, correnti interne, alla ricerca di alleanze continue che non intaccassero il sistema di potere dentro il partito. Attenti, per mantenere quel potere interno, a non disturbare troppo chi il potere esecutivo lo gestiva sul serio. Gianni Cuperlo ed i suoi sono figli di quel partito di perdenti per convenienza che si rifanno a certe manovre interne che servivano a rovesciare il segretario di turno, e che non si rendono conto che il giochino si è rotto. E si è rotto per volontà popolare non per dittatura renziana. La smetta di pestare i piedi, il povero Cuperlo, Renzi è stato eletto segretario dal 70% delle persone (un paio di milioni) che sono andate a votare alle ultime primarie. Il partito dove il segretario veniva buttato giù ad ogni flatulenza di D’Alema non c’è più. Bisogna passare dalla gente comune. Dai militanti. Da coloro che il partito lo tengono in piedi. E non sono certamente né Cuperlo, né D’Alema né Speranza. Ha parlato con il solito linguaggio ricercatissimo Cuperlo, ha citato di qua e di là, ci è sembrato Vendola, ma più patetico. Poi dopo numerosi interventi tra i quali quello robustissimo di Piero Fassino, e quello – indimenticabile per inconsistenza – di Roberto Speranza, l’uomo il cui stesso nome è un ossimoro, la direzione Pd ha votato il documento Speranza-Cuperlo che è stato respinto con solo 8 voti favorevoli. Significa, in numeri, che delle 30 persone che teoricamente fanno capo a Cuperlo nella minoranza Pd nemmeno il 30% ha votato la mozione Speranza-Cuperlo. Riescono ad essere minoranza anche all’interno della loro minoranza. E’ l’ennesimo trionfo degli obsoleti.
(4 luglio 2016)
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