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Aurelio Mancuso sulle Unioni Civili: il movimento è morto, viva il movimento!

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Aurelio Mancuso 00di Aurelio Mancuso  twitter@aureliomancuso

 

 

 

 

 

 

 

 

Bene, molto bene, finalmente abbiamo le unioni civili, anche se rimane l’enorme dispiacere rispetto allo stralcio della stepchild adoption, su cui ci sarà tempo per fare una riflessione, magari ripulita dalle tifoserie. Le unioni civili, oltre a cambiare profondamente il diritto di famiglia rappresentano uno spartiacque storico anche per il movimento lgbt. Una fase si chiude, oltre quarant’anni di lotte portano finalmente a un primo risultato e, questo oggettivamente cambia radicalmente il modo con cui bisognerà affrontare il futuro. Naturalmente il compito del movimento non si esaurisce, anzi in  assenza dell’obiettivo vero, il matrimonio egualitario, si rafforza, ma muta. In un certo senso il movimento nato alla fine degli anni ’60 è morto e ora se ne affaccerà uno nuovo. Anche chi, come me, ha fatto parte della storia passata, può ora accomodarsi a fare altro (in effetti negli ultimi anni già sto occupandomi di molte altre questioni) e sperare che questa generazione, stravolga pratiche e abitudini, sappia avere memoria, ma anche liberarsi di leader e posizioni politiche che devono lasciare il passo. Da oggi saremo tutte e tutti più libere e liberi di esprimere posizioni differenti e anche confliggenti, tenendo sempre presente che l’uguaglianza rimane l’orizzonte condiviso. Anche il cammino che attende le nuove generazioni di militanti lgbt per ottenere il matrimonio, una buona legge sull’omotransfobia, la riforma della legge sulla rettifica dei dati anagrafici, spero sia interpretato con la necessaria maleducazione che è insita nella discontinuità. Le nostre troppe sconfitte, l’esser stati per troppo tempo ancorat* a visioni e strumenti organizzativi legati al secolo passato, è auspicabile che consentano a chi ora deve ripensare l’agenda politica di non ripetere errori e ingenuità. Un buon punto di partenza mi è sembrato essere la felice intuizione della manifestazione nazionale diffusa in oltre 100 città del 23 febbraio, mentre quella a Roma del 5 marzo l’ho percepita come l’ultimo colpo di coda di una concezione ghettizzante del nostro ruolo sociale. E non vedo l’ora, dalla mia posizione di persona che da sempre pensa con la sua testa, di partecipare, come spettatore a incontri e conflitti sul tema della Gpa e dell’utero in affitto. Perché sia chiaro che sul tema nessuno ha la verità in tasca, perché attiene a visioni etiche e teoriche differenti, in molti casi confliggenti. Si spera che dopo il triste periodo delle scomuniche, si passi allo studio e all’approfondimento. Questo esempio non deve però distogliere l’attenzione sulla questione di fondo: decidere come procedere porterà sicuramente a una salutare chiarificazione sull’appartenenza a idee riformiste o radicali, fino a quelle antagoniste, che possono certamente coesistere, trovare momenti di azione unica, ma allo stesso tempo non possono essere nascoste quando si tratta di decidere quale tipo di percorso si intende preferire. Saranno questioni di cui altre e altri saranno protagonist*, da politico gay, che non fa più militanza attiva nel movimento ormai da qualche anno, osserverò con interesse questo inevitabile e salutare processo di implosione e di ricostruzione. Per ora bisogna vigilare che i decreti attuativi sulle unioni civili siano scritti presto e bene, aiutare le coppie a districarsi rispetto a una normativa che bisogna conoscere bene, rispondere alla sempre più pressante richiesta di servizi e consulenze. Molt* in questi giorni hanno festeggiato, alcun* non potevano, in particolare le famiglie arcobaleno perché manca un pezzo fondamentale che le tuteli, pochi hanno continuatoa dire che questo provvedimento fa schifo e dannoso. La storia dirà chi aveva ragione.

 

 

 

 

 

 

 

 

(13 maggio 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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