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Morto Umberto Eco non ci resta che piangere (o non ci resta che Scalfari)…

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Umberto Eco 00di Il Capo

 

 

 

 

 

Umberto Eco era uno che non se la tirava e non te le mandava a dire. Soprattutto quando scriveva. Era umilissimo di fronte all’arte dello scrivere e con altrettanta umiltà di fronte alla cultura ti ricordava come essere ignorante non fosse un diritto, ma una scelta (o condizione) che si paga, in una società che sfrutta le tue debolezze fino alla morte. O fino a farti morire.

 

All’uscita de “Il Nome della Rosa” i critici che oggi lo piangono si scagliarono contro il libro, definito retorico, insopportabilmente colto, le prime cento pagine noiosissime (come del resto le prime cento pagine de “Il Giuoco delle Perle di Vetro” di Herman Hesse), salvo poi cambiare idea e gridare al capolavoro (calandosi le braghe) di fronte ai 50 milioni di copie vendute del libro, tradotto in oltre 100 (cento!) lingue. Altrettanto acidi furono all’uscita de “Il Pendolo di Foucault” che di copie ne vendette solo [sic] quattro milioni. Insomma, un insuccesso.

 

Umberto Eco, al contrario dei suoi detrattori, era ferocemente ironico, anche di fronte a sé stesso. Lo testimonia questo gioiello che vi proponiamo di seguito, tratto dal suo libro “La Bustina di Minerva”, edito da Bompiani nel 2000, dal titolo della rubrica che per lungo tempo, fin quasi alla fine, ha tenuto per L’Espresso, e che si occupava di come scrivere correttamente la lingua Italiana.

 

 

 

1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.

2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.

3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.

4. Esprimiti siccome ti nutri.

5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.

6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.

7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.

8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.

9. Non generalizzare mai.

10. Le parole straniere non fanno affatto bon ton.

11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”

12. I paragoni sono come le frasi fatte.

13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).

14. Solo gli stronzi usano parole volgari.

15. Sii sempre più o meno specifico.

16. L’iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.

17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.

18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.

19. Metti, le virgole, al posto giusto.

20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.

21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.

22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.

23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?

24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.

25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.

26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.

27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!

28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.

29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.

30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.

31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).

32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.

33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.

34. Non andare troppo sovente a capo.
                   Almeno, non quando non serve.

35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.

36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.

37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.

38. Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.

39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.

40. Una frase compiuta deve avere.

 

Qualche anno fa rilasciò una lucidissima intervista al quotidiano spagnolo El País dove si faceva beffe degli utenti di Facebook, definendolo l’occhio di dio dei moderni pagani che essendo incapaci di evitare di avere su di sé “l’OcchioDivino” che li osservava e spiava avevano sostituito dio con Facebook, senza tuttavia avere risolto nulla.

 

Ad 80 anni suonati aveva continuato a rischiare: due milioni di euro per una nuova casa editrice dopo la sua uscita dall’impero Berlusconi, insieme a molti autori di best-seller e gente di cultura con la “C” maiuscola, per una nuova avventura letteraria insieme ad Elisabetta Sgarbi chiamata “La nave di Teseo”, contro il colosso Mondazzoli (il neologismo è di Eco).

 

Questo basterebbe per farne un grand’uomo. Alla faccia di chi gli voleva male.

 

Con la morte di Umberto Eco non ci resta che piangere. O non ci resta che Scalfari del quale, sia detto con rispetto, faremmo anche a meno. E lunga vita a la qultura alta 2.0 del blog del Vate (r).

 

Umberto Eco aveva 84 anni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(20 febbraio 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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