di Gianfranco Maccaferri twitter@gfm1803
Immedesimarsi in una storia è spesso interagire con essa, sentirla liberamente propria. Propongo semplicemente di immedesimarsi liberamente in una storia vera, esserne cioè coinvolti ciascuno con la personale morale, cultura, vissuto. Con la propria vita.
La storia (vera) è quella di un ragazzo che ha soli 25 anni. Lo stilista di moda più conosciuto in città, nel suo atelier lavorano molte persone e il negozio è frequentato dalle famiglie più ricche della zona. Per tutti è un vanto avere un suo abito, soprattutto le giovani donne pretendono di avere un suo “modello unico e irripetibile” per andare ad una cerimonia o ad una festa. Lui è un ragazzo estroso, bello, simpatico, uno di quei giovani uomini che hanno tutto dalla vita: una famiglia benestante che gli ha dato credito nella sua passione, che lo sommerge di affetto e di stima e poi gli amici che condividono con lui feste, progetti, lavoro.
Un ragazzo nato fortunato. Certamente lui stesso si è impegnato non poco a far crescere e a rendere fiorente la sua giovane attività. Indubbiamente il nome di famiglia lo ha aiutato, ma sono state le sue qualità creative e professionali a fare di lui il ragazzo che tutti vorrebbero come figlio. Anche perché è un giovane molto generoso e concentrato verso le necessità di chi gli vive attorno, ha sempre mille attenzioni per ogni amico, ogni dipendente, per chiunque gli chiede un favore. L’amore che lo circonda è soprattutto dato da una famiglia nella quale l’affetto reciproco è una certezza. Tuttavia ha un segreto, un qualcosa che non può confidare alla famiglia!
Il padre si innervosisce per il suo avere spesso conversazioni telefoniche così riservate da non condividerle, per il suo ossessivo bisogno di non abbandonare mai il telefono, per le sue fughe serali senza spiegare dove e con chi andrà a divertirsi.
Il padre spesso dice: – Io sono preoccupato perché tu hai un segreto e questo non è bello, stai attento a non disonorare la famiglia. –
Il ragazzo, assieme ai suoi amici, ha preso in affitto un alloggio dove si rifugia alla sera per condividere chiacchierate libere e risate rumorose, per bere liberamente senza il timore di critiche o disappunti. Raramente per vivere i suoi innamoramenti. Sempre, nella notte, rientra a casa perché il padre al mattino vuole la famiglia unita, serena, felice di condividere la colazione prima che ognuno affronti la sua giornata lavorativa. Purtroppo un giorno viene scoperto ciò che doveva restare un segreto e… tutto cambia.
La sua dolcissima e amata madre lo denuncia alla polizia perché ha scoperto che suo figlio è gay. Il suo adorato padre va dal direttore della prigione e chiede che il ragazzo non esca mai più da lì perché “è meglio un figlio morto che un figlio gay”. Nessuno va a trovarlo in carcere, neppure sua sorella o suo fratello con cui sino al giorno prima aveva condiviso la vita.
Sicuramente i suoi amici stanno raccontando di non conoscerlo.
Nessuno si preoccupa di trovargli un avvocato per tirarlo fuori da quelle schifose mura.
Smette di contare le ore e i giorni. Un secondino gli sbatte in faccia il giornale più popolare e, proprio in copertina scopre l’articolo che parla del suo arresto, legge le falsità di quando la polizia è entrata nell’appartamento: lui e i suoi amici stavano mangiando, ridendo, uno appena arrivato si stava facendo la doccia… L’articolo invece parla di orge, di cose immonde, di situazioni che lui non ha neppure mai immaginato di vivere.
Ha capito che tutto è finito, il suo futuro non esiste, il suo atelier chiuso per sempre, la sua famiglia sarà sconosciuta. Solo, inizia a capire che sarà solo anche quando, forse, uscirà da quelle schifose mura.
Se e quando qualcuno lo farà uscire dal carcere, sa che nessuno più lo saluterà, sa che sarà senza un soldo, che nessuno lo farà lavorare. Per sua madre, per suo padre, per i suoi fratelli e anche per i suoi amici sa di essere morto! In vita.
Tra quelle mura puzzolenti e infestate da tutto, solo un mondo lontano gli appare possibile, ma è troppo lontano da quella terra che lo ha sepolto a vent’anni. Un mattino lo chiamano per il processo. Nessun avvocato, nessun difensore, un togato racconta le menzogne, nessuno ribatte. Il giudice decide che per il momento vanno bene sei mesi, nel frattempo si vedrà se ci saranno evoluzioni. Piangendo disperato torna nel buio di quelle schifose e puzzolenti mura.
Proviamo a immaginare quanta forza deve avere quel ragazzo, quanto carattere gli occorre per sopravvivere, per non smettere di respirare.
Da dove nasce in una società, in una famiglia tutto questo rancore, questa paura, questo risentimento verso il vivere l’amore? L’esistenza di un ragazzo gay è una vergogna per chi gli sta intorno, un’ignominia che esige da una madre il far rinchiudere il proprio figlio in una prigione e che pretende da un padre il volere il proprio figlio morto. E soprattutto, una tale vergogna sociale come e quando potrà essere cancellata, debellata dalla cultura popolare? Cosa si può fare perché la gente, gli amici, la madre, modifichino il pensare, le certezze, il modo di amare e odiare un ragazzo gay?
Questa storia è di tre mesi fa, uguale a quella di decine di ragazzi normalmente di buona famiglia, ventenni che studiano, che navigano in internet, giovani omosessuali che rifuggono il modo sino ad oggi adottato dagli uomini di “farlo senza esserlo”, sostituendolo con il “farlo perché sono”. Per questi giovani la cultura, il sapere, la voglia di diritto pretende il vivere pienamente gli amori e non renderli residuali all’esterno di una vita sociale dove ci si sposa e si fanno i figli. Gli altri ragazzi più poveri, meno istruiti, meno attenti e sensibili a ciò che succede nel mondo, proseguono nel rituale del “farlo senza esserlo” e tutti gli articoli di giornale che vengono pubblicati ogni volta che dei ragazzi omosessuali finiscono in galera non fanno altro che terrorizzare e allontanare ogni presa di coscienza o possibile richiesta di diritti civili.
Non è la storia di un solo paese, ma di decine di stati che affermano il potere attraverso il machismo risolutivo, decisionista. Altri sono stati dove è la dottrina religione a governare. Molti sono stati democratici, dove sono le libere elezioni a decidere chi governa. Non è quindi un problema di dittature o di una specifica religione, è un problema etico, formativo, politico, di cultura e di credenze popolari, una questione che avrà bisogno di decine di anni per essere affrontata apertamente e forse risolta.
E nel frattempo tutti i ragazzi che sono e che verranno rinchiusi in quelle schifose e puzzolenti mura? Che ne sarà di loro? Chi gli procurerà almeno un avvocato?
La storia di questo giovane uomo di successo tragicamente rinchiuso in una prigione credo sia importante conoscerla per capire e percepire una situazione, una cultura, per coglierne sensazioni, timori, assurdità, disperazioni… So che dopo averla conosciuta ci si ritrova nella totale impossibilità di fare qualcosa, di aiutare, di difendere un diritto, ma in realtà quello che rimane è molto: la consapevolezza, la conoscenza, l’opinione, il sapere che lui è solo e anche noi siamo soli nell’incapacità di agire.
Tanto per non smentirmi, ecco un nuovo articolo scandalistico, molto “colorato”, molto popolare, appena pubblicato in uno di questi paesi violentemente, politicamente, socialmente, culturalmente omofobi.
(13 ottobre 2015)
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