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Visioni di #milamercadante: Youth, o quando Maradona parla come la madre di Nanni Moretti

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Paolo Sorrentino Youthdi Mila Mercadante  twitter@mila56170236

 

“A che cosa pensi?”, domanda la ragazza a Diego Armando Maradona in una scena di “Youth”. E lui dice “Al futuro”. Esattamente come la mamma di Nanni Moretti quando alla fine di “Mia madre” risponde alla stessa domanda: “A che cosa stai pensando?”, le chiede la figlia. “A domani”. Tutti e due i personaggi guardano avanti mentre sono al tramonto, il primo non ancora vecchio ma offeso da un corpo immenso che gli toglie il fiato, la seconda poco prima di morire. Neanche si fossero messi d’accordo, Moretti e Sorrentino lanciano lo stesso messaggio, che è un invito a progettare fino all’ultimo minuto della vita senza fermarsi a guardare indietro, un invito alla leggerezza. E ancora, i due registi ricorrono al simbolismo onirico dell’acqua che allaga il pavimento di un appartamento in “Mia madre” e Venezia in “Youth-La giovinezza”. Stilisticamente agli antipodi, è straordinario che pur seguendo strade parallele abbiano avuto la medesima ispirazione.

 
“Youth” si svolge in una Spa che un tempo fu un sanatorio, lo stesso luogo nel quale Thomas Mann ambientò il romanzo “La montagna incantata”. Sorrentino ha dichiarato che la scelta del resort non è stata intenzionale. Nell’atmosfera ovattata della Spa – luogo raffinato e dolcemente decadente – tanti tipi umani interessanti e singolari si muovono intorno ad alcuni ospiti illustri che lì trascorrono un periodo di riposo e di remise en forme, qualcuno concentrandosi su progetti di lavoro. C’è un grande compositore e direttore d’orchestra in pensione, Fred (Michael Caine), che s’accompagna alla figlia. Lui – splendido nella sua autorevolezza – abita un limbo ed è apparentemente privo della linfa vitale da cui nascono la potenza creativa e gli impulsi per formulare progetti. Suona i suoi ricordi sfregando la carta di una caramella Rossana e dirige la musica prodotta da stormi di uccelli e mucche al pascolo. La figlia, una bella e intensa Rachel Weisz, nella quiete surreale dell’hotel cerca e trova la via per uscire da una crisi sentimentale. C’è un giovane attore (Paul Dano) indolenzito dalla delusione d’essere amato e riconosciuto per un unico film di cassetta e non per le sue interpretazioni da attore impegnato. Sta studiando una parte, quella di Adolf Hitler: dal personaggio che è l’orrore fatto uomo egli vuole sottrarre l’ovvia caratteristica della crudeltà per lasciare tutto lo spazio al desiderio che lo animava, perché la sola cosa interessante dell’essere umano è la tensione verso la realizzazione di un’aspirazione. C’è un regista molto famoso in declino, Mick (Harvey Keitel), un uomo assorto nell’intento disperato di guardare avanti mentre studia il soggetto del suo prossimo film-testamento insieme a un gruppo di giovani sceneggiatori. L’arrivo dell’attrice-musa (Jane Fonda) con la quale ha girato 11 film lo costringerà a piegarsi sotto il peso della febbre che lo divora: il presentimento della morte. Mick e Fred sono amici da sempre e il legame profondo che li lega fonda su un tacito e salvifico patto di leggerezza: i due non si confidano mai pene e dolori. “La nostra amicizia è bella perché parliamo solo di cose belle”. C’è una Miss Universo sempre diversa ad ogni apparizione (Madalina Diana Ghenea), la cui presenza è un monumento alla grazia femminile che traccia un’invisibile linea di confine tra il mondo vecchio e quello nuovo. C’è Maradona con la fidanzata. Il calciatore è interpretato da un attore sudamericano che sfoggia sulla schiena un tatuaggio di Karl Marx, perfettamente interscambiabile col Che Guevara che il Maradona reale ha tatuato sul suo corpo: icone pop radicate nella inconsistenza folcloristico-religiosa da t-shirt tipica del nostro tempo e deprivate di ogni valenza ideologica. Tutta l’attenzione del mito del calcio – amatissimo da Sorrentino – si concentra su una pallina da tennis, una piccola sfera gialla che per lui racchiude cuore, coscienza e felicità: quel brillante colore giallo è la tonalità sonora del passato che ritorna e che ancora accende il desiderio.

 
“Youth” è un film singolare e portentoso sulla vecchiaia, la quale solo aspirando alla leggerezza può perpetrare il miracolo della giovinezza. Le immagini armoniche di gruppi composti di figure umane fissano la partitura dei sentimenti e delle attitudini dell’animo: la strategia di soffermarsi sui corpi e sulle espressioni facciali per Sorrentino rappresenta un mezzo privilegiato per sottolineare il senso della storia. La bellezza pittorica dei corpi è un tema melodico che s’accompagna alla colonna sonora curata con estrema minuziosità e alle frasi fatali che punteggiano i dialoghi. Le frasi che Sorrentino ci regala in tutti i suoi film sono folgoranti e racchiudono con una semplicità estrema tutti i temi fondanti dell’esistenza.

 
E’ dirompente l’effetto che fanno sul grande schermo uomini e donne che non portano addosso i segni inconfondibili degli interventi di chirurgia plastica, epidemia contemporanea che deturpa e banalizza. Le facce che Sorrentino ha scelto sono facce vere, autentiche, arrese con stupore allo scorrere degli anni, e perciò bellissime. Il contrasto con la maschera famelica e dura di una bravissima Jane Fonda rifatta, drammaticamente imbellettata e imparruccata è forte e voluto. Lei viene da lontano, non abita quel luogo incantato come gli altri, e la sua frettolosa visita introduce l’ottusità della nuda verità, l’indiscutibile durezza del pragmatismo. Negli ultimi minuti il film sfiora il melodramma, il regista azzarda un sentimentalismo più russo che napoletano che subito si riscatta con la musica: una porta si apre sulla magìa, sulla spensieratezza, sulla spericolatezza e sull’amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(22 maggio 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©gaiaitalia.com 2015 ©mila mercadante 2015 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 

 

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