di Iosonodio
Succede anche questo: ci arrivano in redazione quotidianamente inviti per assistere a prime, recensire spettacoli, segnalarne altri; gli uffici stampa ci contattano, noi rispondiamo, in uno scambio di visibilità/notizia, utile, si suppone, a tutti.
Poi ci sono, come in ogni situazione, quelli che vanno oltre e che ritengono, dato che ti hanno invitato e offerto l’ingresso – ci mancherebbe altro, se scrivo di te il biglietto omaggio è ciò che tu devi offrirmi, nulla più – si inalberano se non scrivi ciò che secondo loro dovresti dello spettacolo cui hai assistito, e ti fanno domande bizzare, come se tu fossi obbligato a scriverne bene perché sei stato invitato.
C’è qualcosa di così tipicamente italiano in tutto questo. Io do una cosa a te e tu dai (devi dare) una cosa a me. Io ti invito allo spettacolo e tu devi scriverne bene, soprattutto se lo spettacolo è inguardabile, scritto coi piedi, diretto con l’ano, e gli attori farebbero vergognare qualsiasi filodrammatica.
Perché i professionisti veri, quelli che sanno che la critica fa il suo mestiere e che da una critica anche negativa si possono prendere spunti, mai si inalberano per ciò che scrivi, anzi ti rispondono, ti ringraziano e poi ti dicono dove non sono stati d’accordo. Ci siam presi tanti mezzi pomeriggi a parlare di ciò che noi s’era scritto a proposito di ciò che loro avevan messo in scena. Senza liti, né insulti, né minacce.
Così è l’italiota quotidiano: non so scrivere né recitare, non ho una mezza idea di cosa sia una regia, ma m’improvviso regista, drammaturgo prim’attore tanto ho millecinquecento amici [sic] su Facebook, lancio due tweet un evento e magari mi va bene e riempio il teatro che qualche affittacamere mi ha affittato per tre repliche lasciando tutto sulle mie spalle, pubblicità inclusa. Questo è l’idea di teatro che si trasmette alle compagnie di giovani le quali, convinte che avrano successo perché arrivano a 10mila persone su Facebook, se la prendono col critico che hanno invitato quando scrive che c’è molto più bisogno di buoni panettieri che di indecenti teatranti.
Frase di chiusura che è anche una saggia metafora dell’umana esistenza.
(4 novembre 2014)
©gaiaitalia.com 2014
diritti riservati
riproduzione vietata
Iscrivetevi alla nostra newsletter (saremo molto rispettosi, non più di due invii al mese)