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Il manganello de La Karl du Pigné: Twitto, mando e-mail, sms e whatsappo, dunque sono?

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La Karl du Pigné 07di La Karl Du Pigné twitter@lakarldupigne

Sono cresciuta nella zona Est di Roma, per intenderci tra le consolari Prenestina, Casilina e Tuscolana. Come tutte le grandi città anche Roma è molto cambiata negli anni e di quelle zone nella quali sono cresciuta, così magistralmente raccontate da registi del calibro di Pasolini, adesso mantengo un ricordo nostalgico misto a tenerezza. Nel corso degli anni ho vissuto in vari quartieri di Roma ma il mio cuore è rimasto in quelle borgate, tra Alessandrino, Don Bosco e poi il Pigneto. Ogni tanto mi piace tornarci, mi prendo un autobus e arrivo fino al capolinea e guardo. Guardo come sono cambiate le strade, come sono cresciuti i palazzi, come è cambiata, e molto, la popolazione residente. La netta sensazione del cambiamento l’ho avuta un giorno feriale di qualche anno fa quando, dopo una di queste passeggiate, sulla via Casilina, ho preso l’autobus che mi avrebbe riportato verso casa: ero indaffarata a mettere qualcosa nella borsa e sono salita di corsa. Quando ho alzato gli occhi, l’autobus non era particolarmente gremito alle 11 della mattina, mi sono resa conto che io ero l’unica passeggera di pelle bianca. Non me ne sono certo preoccupata, se sali in metro a Londra, a Parigi, a Berlino, per le strade di Amsterdam, ti trovi in situazioni simili e ti piace anche sapere di far parte di quel melting pot che all’estero va bene perché rappresenta quel fascino dell’esotico che in vacanza è anche apprezzabile, ma qui in Italia no, eh no! se ne andassero tutti ‘sti negri che portano solo malattie e rubano. Di quell’autobus mantengo vivido il ricordo delle risate di due ragazze di colore che parlavano romanesco meglio di me, di una famigliola di nordafricani, forse marocchini, la madre che questionava in arabo con il figlio piccolo e il padre che teneva teneramente in braccio la figlia grandicella e due signore eritree coloratissime che parlavano fitto fitto nella loro incantevole lingua. Sarà che sono un tantinello romantica e che a me personalmente i paesi che piacciono vanno dal Marocco e poi percorrendo tutto il Mediterraneo  fino dall’altra parte per arrivare in Medio Oriente e risalendo per la Grecia e poi andando in Turchia, ma mi sono poi ricordata di un altro viaggio, questa volta in metropolitana, per arrivare in ufficio. E questo si che è un film di neo neorealismo!

Esterno giorno – Fermata Metro Colosseo. Stranieri che si guardano intorno smarriti, altri appena usciti con la faccia all’insù, a bocca aperta, che guardano mezzo Colosseo ripulito e mezzo fasciato dalle impalcature. Entro, prendo un quotidiano free press dal contenitore e striscio la tessera sul tornello. Bip bip! Rosso. Non si apre. Che palle, sempre la solita storia. Provo un altro tornello, bip, verde, sliding doors. Passo con falcata da attrice provetta e scendo le scale.

Interno Giorno – Fermata Metro Colosseo. Cerco una sedia per sedermi e lancio un’occhiata al display. Prossimo treno fra sette minuti. Alla faccia, sono le 8.34 di mattina, dovrebbero passarne ogni 3 minuti al massimo. Sfoglio distrattamente il free press, alzo gli occhi e vedo sfilarmi davanti una fisarmonica. Il ragazzo che la porta in spalla l’ho già incrociato, la suona meravigliosamente, lo seguo con gli occhi. Ho idea che la metro sarà talmente piena che non riuscirà nemmeno ad entrarci. Riabbasso gli occhi sul giornale e leggo il mio oroscopo. Mi verrebbe voglia di tornare a casa, ma resisto. Metro in arrivo: tutti si avvicinano alla famosa striscia gialla che non dovrebbe essere oltrepassata e si preparano all’assalto dei dieci posti disponibili che invece dovremmo dividere in almeno quaranta.

Interno Giorno – Interno Metro. Riesco a entrare, schiacciata tra la porta e un ragazzo giovane con barba che si sta leggendo qualcosa su un tablet che tiene con la mano alzata verso il soffitto della metro. Mi sistemo meglio che posso. Fortuna devo fare solo 4 fermate, questa luce al neon mi destabilizza.Tiro un sospiro, calma calma calma, respira respira, pochi minuti e uscirai dalla scatoletta. Alzo gli occhi e mi guardo intorno.

Interno Giorno – Metro in corsa verso la mia destinazione, a quattro fermate di distanza. Cinepresa al rallenty. Non so se sogno o se sono desta. Nessuno parla, pochi leggono giornali cartacei, il resto del vagone è diviso a metà tra gente che fissa il vuoto in attesa che anche questo quotidiano viaggio infernale finisca mentre l’altra metà guarda in maniera quasi ipnotica dispositivi rettangolari tenuti in mano, con fili che portano il suono alle orecchie attraverso delle cuffie variamente colorate, altri che interagiscono nervosamente con il dispositivo con il pollice che batte vorticosamente sui tasti, altri che parlano a voce troppo alta senza aver nessuno davanti a loro, altri impegnati a far scoppiare palline colorate che scendono sempre piu in fretta verso il basso dello schermo. Per me, che accendo i telefonini solo dopo essere uscita dalla stazione di arrivo, prima di entrare in ufficio, è tutto veramente troppo.

Interno giorno – scrivania ufficio. Guardo attonita il mio computer. Non lo accendo. La nostalgia che mi prende quando guardo fuori dal finestrino dell’autobus che mi porta in giro per le nuove periferie mi riattanaglia anche adesso, guardando questo surreale mondo nel quale le persone parlano poco, o non parlano affatto e dove la comunicazione è così tanto cambiata a discapito, a me sembra, delle relazioni. Continuo a guardare il computer spento, non ho ancora acceso i telefonini, ma devo farlo.

Sono solo io che vedo in tutto questo “film” una pericolosa deriva della dipendenza che molti di noi hanno nei confronti dei telefoni cellulari? Molti tra amici e colleghi, che utilizzano i prodigiosi mezzi tecnologici ormai a disposizione di tutti, mi contestano il fatto che io sia diciamo “vintage”, visto che me vado in giro con un telefonino così vecchio che ha solo due funzioni, telefonate, sms e poca altra roba. Uno dei vecchi modelli, ma così resistenti che ci puoi anche spaccare i gusci delle nocciole e con la batteria che dura una settimana. In realtà non sono vintage per questo motivo, rispetto ai telefonini e alle nuove tecnologie in generale ho una certa idiosincrasia perché, a dispetto del fatto che potrebbero aiutare ad avvicinare le persone tra di loro, molto spesso esse vengono utilizzate per creare una barriera all’impatto emotivo della relazione reale, quindi producendo esattamente l’effetto contrario.  In questo modo dubito che le persone che hanno insicurezze nelle relazioni riescano ad avere rapporti sani distanziando l’altro/a attraverso un cellulare che diventa solo una difesa e una sostituzione della comunicazione fra le persone. Nostalgia del vecchio mondo? Non così forte, di certo, ma un po’ si. Non è un caso che anche i libri ora si leggano con quel marchingegno che si chiama e-book. Sarà, ma io ho bisogno di sentire l’odore della carta, la consistenza della grammatura dei fogli per godermi a pieno la lettura. E, proprio a dirla tutta, preferisco di gran lunga sentire il profumo di uno che mi sono rimorchiato (e questa si che è pura nostalgia, visto che l’ultima volta è successo nel secolo scorso) che non immaginarmelo guardando una foto su un social, dove si rischia anche di idealizzare ogni contatto e ogni messaggio. Ma poi, che cosa puoi dirti con massimo 140 caratteri? Chi è arrivato in fondo a questo articolo ne ha letti circa 1.200.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(3 novembre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©la karl du pigné 2014
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