di Vittorio Lussana twitter@vittoriolussana
Il ministro Boschi è decisamente “una gran bella figliola”, dotata di un viso esteticamente stupendo. Tuttavia, pur con tutta la simpatia del caso, riteniamo che la sua frase su Fanfani a “Che tempo che fa” poteva anche risparmiarcela. Berlinguer e Craxi avevano, rispettivamente, un loro progetto politico: il primo ha creduto – sbagliando di grosso, ma seguendo una propria indiscutibile “etica della convinzione” – che si potessero realizzare alcune riforme importanti insieme ai cattolici amorali e familisti; il secondo, ci ha fatto capire a tutti quanti che i democristiani fosse meglio prenderli “per le palle”, al fine di costringerli a “digerire” una serie di “cose”, a cominciare dal superamento del cattolicesimo romano in quanto “religione di Stato”. Craxi e Berlinguer furono, insomma, due leader della sinistra laica politicamente preparati, colti e rispettabili.
Amintore Fanfani, invece, fu quel Segretario nazionale della Democrazia cristiana il quale, durante la campagna referendaria del 1974, dichiarò seraficamente che l’inserimento del divorzio nell’ordinamento giuridico italiano avrebbe causato – cito testualmente – “la fuga delle nostre mogli con la cameriera”: una frase rimasta ai posteri come uno dei più classici esempi di chi, in politica, è solito “farsi del male da solo”. Nella prima fase del suo “cursus honorum”, questo aretino un po’ irrequieto capeggiò la corrente dei “professorini”, i quali teorizzavano l’apertura ai socialisti nella convinzione di poter utilizzare il Psi come una “struttura di servizio”, affossando in tal guisa un esperimento che nelle intenzioni di Nenni e Lombardi possedeva un input strategico di notevole spessore. In seguito, non contento di aver perpetrato un simile “infanticidio”, questo “piccolo grande genio” della politica italiana finì sostanzialmente col sospingere il ceto medio tra le “braccia” del Pci, il quale iniziò a guadagnare voti sin dalle elezioni politiche del 1963, fino a raggiungere la ragguardevole vetta del 34,4% di consensi intorno alla metà degli anni ’70. Durante queste “impetuose avanzate”, cosa si inventò Fanfani? Quale idea meravigliosa gli venne in testa? La stessa di Cesare Ragazzi, dato che era “pelato” come un pomodoro San Marzano? Neanche per sogno: dopo esser stato, per interminabili decenni, una delle personalità più in vista della sinistra democristiana, egli cercò repentinamente di riaccreditarsi presso l’elettorato moderato in quanto principale fautore del conservatorismo intransigente e del ristabilimento dell’ordine pubblico. Una “virata strategica” di 180 gradi, che lo condusse dritto di filato al “disastro” referendario del 1974.
Amintore Fanfani fu un esponente politico democristiano veramente particolare: egli era convinto di essere un “furbetto”, ma l’enorme problema che tutti incontravano in quegli anni era proprio il fatto che dell’essere ‘furbo’ ne fosse irriducibilmente convinto solamente lui. Giulio Andreotti era cinico, accidioso, politicamente impassibile: quando aveva il “punto” in mano, pur di andare a vincere la sua “partita di potere” faceva finta di tirare a campare, o di voler semplicemente assistere al dibattito complessivo come se molte questioni neanche lo sfiorassero, o non lo riguardassero. Ma quando veniva il momento di andare a vedere quali “carte” avesse in mano, si finiva spesso col dovergli cedere il “piatto”, se non l’intera “posta” in palio. Fanfani, viceversa, era un esponente politico “maldestro”, un personaggio “pittoresco”, pervaso dall’incredibile convinzione di essere indispensabile per la Dc. Un Partito che invece, grazie alla saggezza di Aldo Moro, fu capace di governare persino con l’appoggio di Berlinguer e Pecchioli, “piazzando” Andreotti in persona a palazzo Chigi e confinando proprio lui, Fanfani, alla presidenza del Senato, al fine di impedirgli di rompere le “scatole” al resto dell’intero “campo” parlamentare – a quei tempi definito “arco costituzionale” – liberali compresi.
Insomma, ispirarsi a Fanfani esclusivamente in quanto esponente politico “aretino”, come ha detto il nostro bel ministro per le Riforme costituzionali e i Rapporti col parlamento, ci è sembrata una dichiarazione piuttosto superficiale. Come se un tifoso del Cagliari, anziché di ‘Giggirriva’, andasse fiero del ricordo lasciatoci, nel suo ruolo di ‘stopper’, da Comunardo Niccolai, ineguagliato ‘recordman’ per il numero di ‘autoreti’ segnate nella porta della propria squadra. “De gustibus non est disputandum”, recita una locuzione latina antica come il mondo. Sarà anche vero. Ma a noi lasciateci almeno il ‘gusto’ di rimanere un po’ perplessi.
(31 ottobre 2014)
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