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Home"Storie"... di Gianfranco Maccaferri"Storie" di Gianfranco Maccaferri, "Casa di riposo per ricchi ottantenni omofobi"

“Storie” di Gianfranco Maccaferri, “Casa di riposo per ricchi ottantenni omofobi”

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Gianfranco Maccaferri 02di Gianfranco Maccaferri  twitter@gfm1803

 

Caro amico,

mi ha riempito di gioia la tua lettera, il tuo ricordarti di me.

Immagino le difficoltà che hai avuto nel cercare l’indirizzo per scrivermi non avendo io internet, face book o altre cose simili.

Ti ringrazio per aver cercato della carta da lettere, tra l’altro l’hai scelta molto bella, ed esserti messo a scrivere con la penna. La tua calligrafia è molto incerta, denota che non ti appartiene più l’utilizzo quotidiano dello scrivere a mano.

Mi racconti che vivi bene, che sei sereno, che convivi con il tuo compagno, che ti occupi anche di diritti civili… insomma che sei contento di ciò che stai facendo. E questo non è poco, credimi! Ne sono felice.

Quando ti conobbi eri un ragazzino ventenne scapestrato, che non sapeva ancora dove andare, cosa preferire: annusavi la vita e le persone che ti circondavano per capire e per scegliere.

Sono passati più di trent’anni e adesso tu sei un uomo che ha costruito il suo esistere sereno e io un anziano di ottant’anni che ha costruito la sua vecchiaia la più ovattata possibile.

Sono sinceramente contento nel saperti libero di convivere con la tua “anima bella”, di essere rispettato e considerato sia sul lavoro che nella vita di tutti i giorni… quanto è cambiato il costume di questa società.

O probabilmente è il mondo che ti circonda, solo lo spicchio di società in cui vivi che è libero da pregiudizi perché, come sempre, in ambienti più poveri soprattutto culturalmente, il gay è, e rimane, il “finocchio”. Lo percepisco da ciò che vedo, che sento, che leggo.

Hai fatto bene a scegliere di condividere la tua vita con persone che ti rispettano per quello che sei ed escludere i rapporti con i settori culturalmente omofobi. Giunto alla mia età penso che è fondamentale vivere sereni, perché una vita di scontri, di paure, di imbarazzi o di rivendicazioni fatte a sordi o a muri di gomma… è una vita frustrante, che nessuno merita.

Ma adesso voglio provocarti nel tuo essere attivista dei diritti civili:

Immagino che non sarai d’accordo con queste mie prossime considerazioni, ma io in questi anni ho pensato molto su quali sono le modalità e i meccanismi che vanno a modificare il pensare della gente e sicuramente i film, gli sceneggiati, i video musicali, le pubblicità… sono questi i mezzi che veicolano messaggi popolari e condivisi, a cui la morale comune aderisce o fa riferimento.

Mentre tutto ciò che contrappone, purtroppo fa schierare da una parte o dall’altra.

Penso che serva a poco contestare, contrastare, lottare, manifestare… questi metodi sono rimasti utili solo per farsi sentire dalla partitica; ma il messaggio che poi arriva a tutta la popolazione è quello filtrato dalle redazioni giornalistiche… quindi parziale, solo accennato, difficilmente ampliamente contestualizzato.

Sicuramente è più utile trasmettere film o sceneggiati popolari in cui esistono personaggi gay (e non macchiette) e nei quali si vedono uomini che vivono serenamente la propria omoaffettività. Se attraverso i film e la televisione si trasmettono scene di vita omosessuale condivisa dalla società in cui è ambientato il film, per tutta la popolazione risulterà poi normale incontrare serenamente e condividere la vita quotidiana con i “non etero”. Chiedete ai registi, agli sceneggiatori, ai pubblicitari di raccontare in modo non omofobo le storie e soprattutto di inserire sempre aspetti di vita quotidiana omosessuale. Solo così si riuscirà a rendere condivisibile da tutti il vivere senza discriminazioni.

Le manifestazioni non incidono sulla morale, mentre il vedere in televisione o al cinema la serenità e la normalità delle vite sentimentali degli omosessuali… questo sì che incide profondamente, a tutti i livelli, in tutti gli strati sociali economici e culturali.

Come vedi non ho smesso di fare il professore con te… ma così provocandoti spero che ti sentirai obbligato a rispondermi ed io attenderò il piacevole momento di leggerti.

Ricordo il giorno che ci siamo conosciuti, e tu? …lo ricordi?

Saranno oramai passati quasi trentacinque anni: è stato in un’assemblea all’università. Tu e i tuoi compagni rivendicavate libertà, diritti, uguaglianza… era bellissimo starvi a sentire, assorbire la vostra energia, il vostro potere fisico, la vostra esuberanza. Poi io decisi di intervenire per parlare della libertà, del diritto, dell’uguaglianza come concetti e modalità del vivere la società, certo, ma rapportati all’essere omosessuali ed infine proposi la lettura della rivista “FUORI”.

Al termine dell’intervento sentii il gelo intorno a me, l’imbarazzato ringraziamento dello studente che gestiva gli interventi e niente altro.

Mi allontanai dal microfono e quando mi avvicinai all’uscita del salone arrivasti tu a farmi i complimenti per le parole dette, per il coraggio di averle pronunciate. Se ricordi ti risposi che io potevo permettermelo perché ero un docente, perché ero “protetto”, sapevo che difficilmente un ragazzo avrebbe avuto il coraggio di prendere il microfono e dichiarare pubblicamente la similitudine esistente tra i diritti rivendicati dal collettivo e i diritti degli omosessuali. Ti dissi anche che probabilmente avevo parlato davanti ad un muro di gomma, ma l’importante era cominciare a parlarne, iniziare a pronunciare certe parole.

Tu mi sorridesti… io ti proposi di andare a bere qualcosa al bar. Da quel preciso momento nacque la nostra amicizia.

Ma torno alla tua inaspettata lettera dove mi domandi come vivo, cosa faccio durante le mie giornate da anziano.

Allora… cosa dirti? Ho lasciato tutti gli incarichi oramai da molto tempo, così come le collaborazioni che avevo con redazioni e organizzazioni varie. Circa dieci anni fa mi resi conto di essere patetico nel mio insistere a ripetere e scrivere quello che pensavo e quindi raccontavo e scrivevo oramai da trent’anni. Ho intuito che è giusto che siano le persone sulle quali vanno a incidere i cambiamenti, solo loro che si devono “muovere” per determinare i cambiamenti stessi. Loro sanno cosa occorre, cosa serve, cosa modificare per rendere migliore la propria vita… che siano loro stessi a determinare il proprio quotidiano presente e futuro! …e così oggi mi limito ad osservare, leggere e ascoltare cosa propone oggi questa società.

Nella tua lettera mi chiedi com’è essere omosessuali da vecchi… tu ovviamente e cortesemente usi “anziani”.

Sostanzialmente, nella concretezza quotidiana, la propria fisicità perde d’importanza e quindi rimane il pensare… rallentato e un poco arrugginito. Il proprio corpo assume rilievo solo nel tentativo di constatarne il lento degrado …e per quanto concerne l’inesorabile “essere ignorato” dagli sguardi degli altri, è un processo lento quindi non traumatico, non ti preoccupare, ce ne si fa una ragione.

Mi chiedi anche se ci sono aspetti negativi del mio quotidiano in cui tu puoi collaborare o aiutarmi…

Questo mi ha costretto a pensare a cosa concretamente disturba il mio essere sereno e quali soluzioni potrebbero esserci per modificare la situazione attuale.

Quello che io oggi amerei avere non c’è, non esiste nel nostro paese e nessuno ne parla, io stesso in tutta la mia vita non ne ho mai parlato o scritto, semplicemente perché non ci avevo mai neppure pensato.

Quello che mi manca è un luogo fisico dove incontrare e condividere il tempo con altre persone omosessuali della mia età, ma questo ipotetico luogo dovrebbe anche essere aperto a scorribande socio-culturali attuali. Non parlo del contestato “ghetto per froci” di pasoliniana memoria… ricordi i primi locali dedicati al divertimento per gay?

Invece io intendo uno spazio dove l’omofobia verbale dei miei coetanei sia bandita. Amerei un ricovero per anziani gay protetto dalla volgarità morale perché, a ottanta anni, non si hanno più le energie per difendersi, per protestare, per contraddire… si necessita di serenità.

Ho scelto di vivere in un albergo/ricovero per anziani perché l’organizzazione della quotidianità in casa mi risultava pesante e improduttiva.

Così vivo in questa struttura molto costosa ma molto adatta alle mie esigenze, il personale è cortese e rispettoso, i pranzi sono ottimi e decorosi nella preparazione… ogni volta è come andare in un buon ristorante. Ho la mia camera molto grande e me la sono arredata con i pochi oggetti che ho ritenuto importanti per il mio piacere estetico e per i miei ricordi.

Lo ammetto: sono fortunato nell’avere la disponibilità finanziaria per concedermi questo vivere ovattato.

Ovviamente posso uscire quando voglio: prendo l’autobus o un taxi e vado in centro città tutti i giorni a fare colazione e a leggere un quotidiano nel dehors di un bar.

Alla sera rimango nella struttura e guardo la televisione oppure leggo, a volte gioco a scacchi o semplicemente chiacchiero con qualcuno.

Questo è il punto cruciale o per meglio dire il mio cruccio. Escludendo i pochi residenti con i quali a volte riesco ad instaurare un dialogo di carattere culturale, i miei interlocutori sono persone che raccontano storie e situazione che non suscitano mai il mio interesse. In questo mi sento davvero solo. Il mio essere omosessuale, perché anche a ottanta anni uno rimane omosessuale, mi esclude dal condividere con gli altri anziani il mio “sentire” attuale, i miei ricordi e anche il mio percorso di impegno sociale. Pensa che, anche se qui dentro siamo tutti dei vecchi benestanti a cui il sesso praticato è impedito dalle esaurite risorse fisiche ma anche dalla nostra estetica per nulla sensuale, io sono visto come il frocio con il quale poco si ha da spartire, al quale è normale fare battute di pessimo gusto sia in mia presenza ma sicuramente anche e soprattutto in mia assenza. A volte mi sembra di essere tornato a situazioni simili a quando frequentavo il liceo o l’università… sono cambiate le facce, i corpi, ma non i cervelli; non voglio preoccuparti, sono situazioni a cui sono abituato da tutta la vita. Gli stessi che allora mi escludevano e mi schernivano lo fanno tutt’ora, sono sempre le stesse persone quelli della mia generazione, non sono cambiati. La vita non li ha resi più saggi, più benevoli, più attenti alle sensibilità altrui, anzi… invecchiando sono diventati egoisti e ancora più intolleranti.

Gli amici con i quali avrei piacere di condividere dei momenti, spesso non ci sono più o sono lontani, ma da vecchi anche prendere un treno per fare solo cento chilometri è faticoso e poi vivono in casa con i parenti o nelle “case di riposo”, luoghi dove è impossibile ospitare amici e conoscenti; gli anni, quando sono troppi, purtroppo ti separano fisicamente dalle persone a cui sei legato da amicizia.

Per questo motivo chiedo se ti è possibile inserire nelle tue attività di carattere sociale e di rivendicazione dei diritti civili, anche del tempo dedicato agli anziani omosessuali, alle loro esigenze culturali, di condivisione, di ritrovo, di vivere in comune.

Sicuramente troverai enormi difficoltà e totale disinteresse perché i gay non si sentono mai dei vecchi, non riescono neppure a concepire loro stessi da anziani, escludono la fase conclusiva della vita dai loro pensieri. L’ho fatto io stesso e quindi non posso biasimare chi lo fa ora.

Pensaci… sarebbe un modo inconsueto di pensare l’essere omosessuale nella società.

Caro Luca, mi pongo in attesa di una tua prossima lettera.

Se e quando vuoi, puoi passare a trovarmi accompagnato dalla tua “anima bella”, sarete miei ospiti per un delizioso pranzo in una casa di riposo per ricchi ottantenni omofobi.

A presto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(12 ottobre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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