Essendo Giarre il mio paese, essendo che ci vivo da quasi trent’anni, conosco la storia di Giorgio e Toni, e mi chiedo spesso quanti ragazzi, più giovani di me, la conoscano, ma soprattutto se, qualcuno più vecchio invece, si ricorda della loro tragica fine.
Tre colpi di 7,65 sotto un albero: così furono uccisi, nel 1980, i due ziti.
Franco, il nipote di Toni, un ragazzino di allora tredici anni, racconta di essere stato costretto dallo zio a compiere quel gesto. Dopo qualche giorno però, lo stesso Franco, ritira la confessione e nessuno farà più luce sulla vicenda. A Palermo, qualche mese dopo, nasce il primo circolo Arcigay.
Arcigay li ricorda sempre, Giarre mai.
Il 16 giugno del 2010, il Coordinamento regionale Arcigay Sicilia, organizza, nell’ambito del Sicilia Pride 2010, un incontro dal nome “La nostra storia trent’anni dopo, 1980-2010” e a seguire una fiaccolata, ma non si arriva fino al campo, ci si ferma al monumento dei caduti. Le istituzioni, uscendo dal Palazzo di Cultura, non si uniscono alla fiaccolata; però durante l’incontro si era parlato di targhe, di far diventare Giarre simbolo di amore universale.
Ma perché Paolo Patanè, ex Presidente dell’Arci gay, presente quel giorno, non è mai riuscito a convincere il Comune a riporre una lapide in memoria di Giorgio e Toni, nel campo dove sono stati trovati morti, mano nella mano?
Dovranno passare altri trent’anni per ricordarli ancora? E saremo sempre in trenta? Ma soprattutto è questo il modo di ricordarli?
Un altro figlio che questo paese non ricorda è Paolo, o meglio Loredana, anche se quando la conobbi nell’estate del 2006, nei dolci sms che mi inviava si firmava “Stellina”. Dopo il mio servizio civile, ci perdemmo di vista, poi iniziai a vederla per strada, lì, ad aspettare che qualcuno la caricasse in macchina. Lei faceva finta di non vedermi quando passavo ed io tornavo a casa sempre più triste, però speravo sempre di vederla, perché quando non c’era, era sicuramente peggio.
Improvvisamente non la vidi più, non riuscivo ad avere sue notizie e un anno dopo, la peggiore delle peggiori arrivò: l’avevano messa in una comunità nell’agrigentino con 35 nordafricani e lei, povera stella, si era suicidata.
Qui, qualcuno che questi tre morti li ricorda ancora c’è, chi leggerà queste righe li ricorderà insieme a noi, se qualcun altro invece, crede di poter fare qualcosa, si faccia avanti.
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