di Emilio Campanella
Anni fa la formula antica e vincente della Biennale d’Arte, venne messa in discussione a causa della sua struttura ” a pezzi chiusi” come si dice per l’opera barocca, proprio per i Padiglioni Nazionali che ne costituiscono la caratteristica più originale ed infine riconosciuta, apprezzata e ribadita. Il percorso è amplissimo e non coinvolge più soltanto i Giardini e l’Arsenale, ma tutta la città ed anche alcune isole. Ci sono mostre ovunque, come si sa, si aggiungano gli Eventi Collaterali, le istituzioni locali, le fondazioni: tutti espongono qualcosa, ed il più delle volte, di interessante.
Comincerò con il Padiglione Italia all’Arsenale, accanto alle Gaggiandre. Lavoro notevolissimo curato da Cecilia Alemani che ha scelto tre artisti molto differenti e di grande spessore che abitano con le loro proposte, le penombre del grande edificio: Roberto Cuoghi ed il suo studio intorno alla scultura, il calco e la riproduzione di crocifissi. Dai materiali, alle reazioni chimiche, il degrado biologico dovuto ad agenti esterni od a muffe. I corpi adagiati, soli nella loro scabra nudità, corrotti, incompleti, abbozzati, in frammenti, sotto hangar di plastica gonfiabile, con parti in forno per la cottura, soli, fuori da ogni protezione, affissi ad una parete come in una danza macabra, tutto sotto luci perfettamente spettrali. Il titolo dell’opera è, non a caso, Imitazione di Cristo. Di seguito: Adelita Husni-Bey presenta: The Reading/La seduta. Un dialogo-confronto di alcuni giovani scelti per rispondere ad interrogativi e confrontarsi intorno a tematiche esistenziali, metafisiche ed ecologiche, attraverso la lettura dei Tarocchi. Da ultimo, e seguo l’ordine del percorso espositivo, Giorgio Andreotta Calò che ha costruito: Senza titolo (La fine del mondo), creazione per il luogo, di grandissima suggestione. L’insieme del padiglione s’intitola: Il mondo magico, e s’ispira al lavoro dell’antropologo Ernesto de Martino.
Ora creerò volontariamente un forte contrasto fra la profonda, densa concentrazione appena descritta ed il Padiglione Venezia dei Giardini, che dovrebbe essere stato pensato, creato, allestito, per valorizzare la creatività veneziana, appunto. Il risultato è, invece, di una volgarità rara, che non riesce nemmeno ad essere coraggiosamente kitsch. Si presentano le “eccellenze” locali su tavoli, come in vetrine… di pessimi vetrinisti, con luci risibili. Una sezione-sala di questo corridoio curvo, peraltro, come si sa, un bell’edificio liberty, s’intitola: El Gran Baeo, in dialetto ( Il Gran Ballo)… Ci sono musiche miste, anche Shostakovic, proiezioni di spezzoni cinematografici come Il Casanova di Fellini, Senso di Visconti, il Casanova disneyano. Mobili pacchiani, volgari tavole imbandite, profumi in orrendi flaconi; purtroppo non si può uscire subito, siccome la porta di fondo è sbarrata, si deve, quindi, rivedere tutto quella pretenziosa paccottiglia… Ho colto la frase di qualcuno “sembra un bordello”…e sono totalmente d’accordo. Non ho capito lo scopo di affossare in questo modo prodotti anche di qualità e pregio, presentandoli in questa maniera. Il Padiglione s’intitola: Luxus.
Da Venezia alla Cina, il passo è breve, in un certo modo, anche se dobbiamo tornare all’Arsenale, per apprezzare ed ammirare Continuum, il magnifico padiglione cinese che propone grazie al lavoro molto suggestivo di cinque artisti, un viaggio fra passato e presente, tradizione e innovazione (e ne incontreremo altri), attraverso svariate tecniche figurative, visive, di spettacolo, grafiche a molti livelli e di molteplici possibilità di fruizione. Di fronte, alle Tese 98 e 99 dell’Arsenale Nord, Memory and Contemporaneity, mostra promossa da The Palace Museum, Beijing. Il percorso espositivo s’inizia con un viaggio multimediale nella Città Proibita, per approdare poi a videoinstallazioni contemporanee e tornare ad occuparsi dell’opera Classica Cinese; continua con designers italiani che hanno creato per il gusto cinese. Poi c’è un’interruzione: mancano le opere degli artisti, a causa dell’incendio del cargo che le trasportava. Fortunatamente non sono andate perdute e non hanno subito danni; sopattutto non ci sono state vittime! Fra qualche settimana, verrà fatta una seconda inaugurazione ad allestimento completato.
Guardando il bel catalogo, sembrano veramente molto interessanti. Ne riparlerò molto volentieri. A conclusione di questo primo sguardo, un altro evento collaterale, come il precedente: Tehching Hsieh, Doing time, mostra organizzata dal Tapei Fine Arts Museum of Taiwan. Si tratta, in un certo modo, di un ritratto “storico” dell’artista, performer che ha lavorato sul tempo negli anni ottanta, con azioni ripetitive che sono durate un anno. L’esposizione presenta l’amplissima documentazione di questi lavori.
(19 maggio 2017)
©gaiaitalia.com 2017 – diritti riservati, riproduzione vietata
Iscrivetevi alla nostra newsletter (saremo molto rispettosi, non più di due invii al mese)