di Vittorio Lussana twitter@vittoriolussana
In un Paese in cui ponti e viadotti stradali crollano all’improvviso sulla testa della gente, forse sarebbe il caso di volgere lo sguardo anche verso una classe sociale che, qui da noi, è veramente di scadente qualità: quella dei costruttori e dei grandi imprenditori. Un po’ di ‘schiaffazzi’ servirebbero anche a loro, soprattutto in determinati settori, popolati da ‘lobbies’ di ‘squali’ dediti soprattutto alla piraterìa finanziaria. Innanzitutto, il processo di privatizzazione di molti settori, dominati in passato da notabili e ‘boiardi’ di Stato, alla fin fine si è rivelato lento e assai poco conveniente: altro che “rivoluzione liberale”. In ogni ambito e settore dominano, da sempre, precisi ‘cartelli’ di aziende che ottengono, sempre e regolarmente, commesse e appalti importanti. Il modello imprenditoriale italiano ha una propria colonna vertebrale di aziende piccole e medie che faticano ad andare avanti, poiché ‘schiacciati’ da una casta di pochi ‘ricconi’ che si muovono sui mercati in un regime di ‘quasi monopolio’, chiedendo alla politica di poter lavorare garantendo, in cambio, voti e sostegni finanziari. Il capitalismo italiano, come quello francese, si basa storicamente sulle banche. Ma quel che proprio non si comprende è come mai il ‘portafoglio-clienti’ dei nostri principali istituti di credito sia composto da imprenditori e costruttori ‘stracolmi’ di debiti. Uno dei problemi che si incontrano nel centro-sud del Paese, tanto per proporre un altro esempio, è quello di riuscire a ‘lanciare’ un’iniziativa qualsiasi, capace di imporre un nuovo soggetto sui mercati. In genere, avviene questo: dopo una serie di incontri interlocutori, si viene chiamati a partecipare a una riunione convocata appositamente e, talvolta, persino a qualche consiglio di amministrazione, in cui si teorizzano operazioni innovative o nuovi prodotti da realizzare. Ma proprio quando si è sul punto di visionare i ‘bilanci’, salta fuori che quello con i soldi ‘veri’ sei tu! Nel senso che la tua impresa è libera da debiti, mentre invece, chi ti propone un progetto, editoriale o di qualsiasi altro tipo, si ‘acconcia’ alla fase esecutiva quasi sempre oberata da significativi ‘svantaggi debitori’. Una domanda sorge spontanea: ma quando li hanno fatti tutti ‘sti ‘buffi’ questi signori qui? E, soprattutto, per fare cosa? Le sofferenze delle nostre banche non derivano solamente da derivati o da azardate operazioni di ricapitalizzazione, bensì da veri e propri ‘prelievi’ perpetrati ai danni dell’istituto e finiti nei ‘paradisi fiscali’ su conti correnti difficilmente riconducibili a personaggi precisi. Il problema dei derivati riguarda, invece, molti enti e istituzioni statali: comuni e regioni convinte, nel recente passato, a investire in titoli tossici. La situazione finanziaria del comune di Roma rappresenta, in tal senso, un esempio devastante. Ma il privato, o il ‘capitalista’ italiano, tanto per utilizzare una definizione ‘marxiana’, non ne combina certo di migliori. Comunque sia, tornando alla nostra riunione appositamente convocata, quando a un certo punto si giunge finalmente all’avvio dell’iniziativa salta fuori che c’è sempre qualcuno, spesso rappresentativo di un nome o di un ‘brand’ di prestigio, che parte da ‘sottozero’. Ma come si può far ‘ripartire’ il Paese con questa gente qui? E perché è così impossibile far entrare, in molti comparti e settori, aziende nuove, cariche di idee e progetti interessanti, nonché caratterizzate da gestioni finanziarie più sane, attente e in attivo? Non c’è niente da fare: in determinati ambienti vige il più immobilista dei ‘feudalesimi’. Che è la vera causa che rende impossibile ogni ripresa economica ‘interna’. Infine, in campo editoriale: perché all’interno di molti quotidiani non ci sono più, neanche a cercarle con la lente di ingrandimento, quelle notizie che un tempo venivano chiamate le ‘brevi’? Perché in genere, quelle ‘noterelle’ vengono raccolte e redatte da giovani aspiranti giornalisti, o dai cosiddetti ‘praticanti’. I nostri giornali, invece, sono ormai quasi tutti composti da una quantità notevole di ‘mezze pagine’ con interi ‘piedi’ e ‘piedoni’ riservati alla pubblicità. Ciò accade perché nessuno dei nostri organi di informazione sta facendo formazione al proprio interno, al fine di ‘coltivarsi’ una nuova generazione di giovani giornalisti d’assalto. E questo accade perché, una volta ‘formati’, questi giovani colleghi dovrebbero essere assunti. Una cosa che non intende fare alcun editore, neanche a parlarne.
(10 marzo 2017)
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