
di Il Capo
Aveva osato criticare la gestione della Nazionale dell’Azerbaijan e la stella della squadra di calcio del Gabala FK, Javid Huseyno (arrestato per favoreggiamento). Cosa aveva fatto il calciatore? Aveva sventolato una bandiera turca durante un incontro a Limassol, in un match dei preliminari di Europa League contro l’Apollon, squadra cipriota.
Rasim Aliyev sarebbe stato ammazzato, subito dopo la pubblicazione della sua nota critica (definiva il giocatore “immorale e maleducato”) da un gruppo di tifosi del Gabala. E prima dell’assalto mortale sarebbe stato avvicinato da un uomo che si era qualificato come un “parente” di Javid Huseynov.
Il giornalista scriveva per un quotidiano online ann.az, noto per le posizioni critiche contro il governo del presidente Ilham Aliyev, uomo notoriamente non democratico, e la cosa ha subito dato adito ad illazioni facilmente immaginabili. Lo stesso Aliyev, che vedevamo trionfante sul palco d’onore insieme alla famiglia assistere ai primi Giochi Olimpici Europei, nel luglio scorso, si è affrettato a condannare immediatamente l’omicidio, definendolo bontà sua “molto grave” e “una seria minaccia alla libertà di parola”. Che per un presidente praticamente senza opposizione non è nemmeno male.
Battute a parte, che a volte ne faccio troppe, continuo a pensare (e non perché non ami lo sport, semmai perché lo amo molto) che il calcio è diventato palesemente il rifugio di tutti i violenti e di tutte le intolleranze e che, in Azerbaijan come in Italia o in Grecia o dove si voglia, servano serissime misure di repressione della violenza, di individuazione della delinquezaglia simil-terrorista e mafiosetta che si annida nelle file degli Ultras di ogni squadra e che, qualora si perpetuassero tensioni e manifestazioni di scelte politiche estremiste, inni alla violenza, ed atti assurdi come l’omicidio di Rasim Aliyev, non si dovrebbe esistare a sospendere i campionati.
Danni economici? Ma non parliamo di associazioni sportive?
(12 agosto 2015)
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