di Gisella Calabrese twitter@giscal77
Cari amici, dopo una lunga pausa forzata ed una (breve) di relax, torno più carica che mai alla mia amata rubrica, così politically uncorrect che mi è mancata tanto, non lo nego. E come potrebbe essere diversamente, visti gli innumerevoli spunti che ogni giorno ci vengono offerti su un vassoio stracolmo di (deprecabili) primizie?
Quest’estate vi siete scatenati a forza di selfie, eh? In bagno, sulla tazza, sul lettino al lido vip, in montagna, in bikini, con la tuta da sci, al lago, in cucina, nel letto, semi nudi, in barca, sull’aereo… vi siete proprio impegnati a far “schiattare d’invidia” i vostri pseudo-amici sui social. Inutile che vi affanniate a negare, ormai non siete più credibili. Ma scommetto che pochi di voi potranno dire di avere un selfie con un potenziale assassino armato “nientepopodimenoche” di un machete. Questo batte tutto!
Eh sì, perché i matti in questo Paese non sono mai abbastanza e aiutano a infoltire le pagine di giornaletti e siti web nella sfrenata caccia all’ultimo click o, in alternativa, all’ultimo lettore assetato di notizie strane e balorde. E puntualmente la notizia arriva. Un giovane africano di 25 anni si è armato di machete rubati da un’armeria (almeno così pare) e ha seminato il terrore per le strade della tranquilla provincia anconetana, a Jesi. Per poco meno di due ore vaneggiava frasi sconnesse tra cui pare anche un “italiani vi ammazzo tutti” in preda a delirio puro. “Tranquillo che ci pensa già il nostro governo” gli avrei risposto io, ma forse non sarebbe stato molto politically correct.
Dato che – a quanto apprendiamo quotidianamente dalla cronaca – raptus di follia capitano ormai quasi ogni dì, la cosa che mi stupisce non è tanto il gesto di per sé (che resta preoccupante, sia chiaro) perché poteva senz’altro finir male, ma il modo in cui ci approcciamo ad un fatto come questo. Fortunatamente non c’è stata nessuna vittima se non qualche taglio al capitano dei carabinieri che è riuscito a disarmare e arrestare il giovane folle nomato Precious Omobogbe, ma la vera e indiscutibile vittima di questo avvenimento di cronaca è la morte – dichiarata definitiva e irreversibile – della buona decenza. Un uomo in evidente stato mentale alterato (che Lega e fascistoidi di estrema destra hanno subito definito clandestino, pazzo, assassino e per colpa di Mare Nostrum, ed è uno schifo, e questi vengono qui e ci rubano case, lavoro e soldi e bla bla bla) si aggira per le strade della città con due machete in mano e i passanti cosa fanno? Che domande, un selfie, no?
Io non riesco nemmeno ad immaginare cosa può esserci nel cervello di chi, in una simile e “particolare” situazione prende lo smartphone e si fa una bella foto con un uomo in preda a delirio, che avrebbe potuto fare una strage, e magari sorridendo pure… veramente, non trovo le parole, mi vengono in mente solo termini appropriatissimi ma scurrili che mal si addicono ad una signora.
Grazie al buon senso qualcuno si è anche accorto che forse – ma dico forse – era il caso di chiamare le forze dell’ordine quantomeno per disarmare il tizio e portarlo in una casa di cura seria, per farlo vedere da uno bravo davvero, ma lo sconcerto per me è enorme. Ma non isolato, ahimè.
Solo qualche giorno fa avevo letto un articolo su un gruppo di ragazzi americani che erano usciti di sera per divertirsi e sballarsi un po’. Uno di questi, dopo la notte di bagordi, è morto di overdose nella macchina in cui erano i quattro e gli amici hanno pensato bene di farsi il “selfie col morto” che – lo ribadisco – era un loro amico. Vi assicuro che non è un film, è tutto vero. E non venitemi a parlare di stato alterato dall’uso di sostanze stupefacenti perché c’è un limite pure a questo: se sei abbastanza lucido da capire che è morto, allora lo sei anche per chiamare i soccorsi o la famiglia o chi vi pare, ma la foto… quella no, ve ne prego.
Volevo convincermi che il fatto fosse isolato, che è accaduto a migliaia di chilometri da me, che “noi” fortunatamente abbiamo ancora un briciolo di coscienza, ma mi sbagliavo. Non dobbiamo andare nemmeno tanto lontano da casa. Il selfie col machete davvero non avrei potuto immaginarlo, credo che nemmeno Tiziano Sclavi sarebbe riuscito ad arrivare a tanto – e lui di incubi se ne intende. Tutto finalizzato a dire “io c’ero, ero lì e ho le prove, guardate che figo che sono stato”. Come non ripensare ai selfie scattati all’isola del Giglio da una frotta di turisti (aumentati considerevolmente in questi ultimi due anni anche fuori stagione) per via del relitto della Concordia, icona di un Paese allo sbando, tristemente sdraiata davanti alla costa? Luogo di terrore per oltre quattromila passeggeri, tomba per altre 34 persone e certa gente non pensa a nulla di meglio che scattarsi una foto sorridente… per poi ovviamente postarlo sui social network.
Insomma, siamo diventati una manica di voyeuristi, esibizionisti, superficiali, insensibili, gossippari, esseri “poco pensanti” senza scrupoli, senza dignità, senza moralità. E’ vero che non siamo tutti così, ma se proprio a causa della frequenza con cui accadono simili aberranti azioni il nostro senso di indignazione ha dichiarato la morte clinica, come possiamo sperare di migliorarci? Se non alimentiamo la nostra umanità, non ne resterà più niente. Per molti è già così, purtroppo.
Parafrasando la frase di un film tanto trash quanto appropriato “Machete”, il protagonista Danny Trejo diceva “Machete non twitta”. Beh no, oggi come oggi direi “Machete selfa”!
Cordialmente vostra.
(1 settembre 2014)
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