di Vittorio Lussana twitter@vittoriolussana
Sono ormai lontani i tempi in cui, con l’avvento della Lega Nord sul palcoscenico della politica italiana, cominciò ad andare di “moda” discettare di federalismo, di eccellenza degli enti locali rispetto allo Stato centrale, di un rapporto diretto tra istituzioni e cittadini. Due decenni di retorica “celodurista” e di “minchiate” su “minchiate”. Con la retorica del localismo e i “ciarlatani” al potere, il “magna-magna” unico e centralizzato si è moltiplicato per 20, ovvero il numero delle Regioni italiane. Adesso arrivano Renzi e Del Rio che, dopo le ostriche di Fiorito e le mutande verdi di Cota, decidono di tagliare tutto a tutti. E’ vero che con la manovra licenziata dal Governo in questi giorni, le colpe di Cota e della Polverini finiscono col ricadere su Chiamparino e Zingaretti. E, di conseguenza, sui servizi erogati ai cittadini. Ma bisogna anche ricordare come la vera causa originaria della deriva localista, “arruffona” e “sprecona”, sia da ricercarsi in quella riforma del Titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra e fatta approvare dal parlamento nei primi mesi del 2001 (Legge costituzionale n. 3 del 2001). Ma vivaddio: se i democristiani hanno governato, bene o male, per 50 anni tramite i prefetti, per quale “diamine” di motivo si è deciso di delegare poteri e funzioni a Regioni ed enti locali stracolmi di politici incompetenti e tecnici incapaci? Per scavalcare a sinistra la Lega Nord? Per dimostrare di non essere “statalisti”? E alla fine della fiera, questi maldestri tentativi di “deregulation” hanno funzionato? Assolutamente no. Anzi, oggi ci ritroviamo di fronte a un avviato processo di deistituzionalizzazione dello Stato, in cui tutto è diventato ancor più complicato e burocratizzato. Bravi. Complimenti: un bell’esperimento da apprendisti stregoni.
(17 ottobre 2014)
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