di Giancarlo Grassi
Vennero minacciati con metodo mafioso in Tribunale; durante il processo venne letto un “proclama” intimidatorio dall’avvocato Michele Santonastaso su mandato del boss del clan dei Casalesi, e dopo diciassette anni c’è un punto fermo adesso. Il boss dei casalesi Bidognetti e il suo avvocato volevano minacciare lo scrittore Roberto Saviano e la giornalista Rosaria Capacchione. Alla presidente del collegio, Cristina Scipioni, bastano sessanta secondi per leggere la sentenza. Saviano scoppia in lacrime. E questa diventa la notizia che noi, per qualche facilone, avremmo bucato.
Se la notizia sono le lacrime di Saviano, la buchiamo volentieri. Perché la vera notizia è che lo Stato che odia Saviano, che odia Capaccione e i giornalisti che denunciano, che imbavaglia l’informazione, che taglia puntate a Report per spendere soldi in rutti televisivi, che punta il dito, che grida il nome di Saviano con rabbia, che minaccia di togliergli la scorta, ebbene quello Stato lì ha perso. E la Corte d’appello di Roma conferma la sentenza di primo grado per Francesco Bidognetti (1 anno e mezzo) e per l’avvocato Michele Santonastaso, (1 anno e 2 mesi) accusati di aver intimidito quelle due firme autorevoli, una minaccia aggravata dal metodo mafioso.
Cosa Saviano pensa di Saviano e di cosa la sua vita sia diventata è noto e non staremmo a farci tanta macelleria, perché siamo dei solitari.
Saviano stesso è testimone di ciò che gli accade senza per questo che il suo impegno contro le mafie e contro chi lo vorrebbe morto venga meno: libri, articoli, apparizioni televisive, sempre sotto scorta, sempre senza potersi fermare in un luogo più di un battito di ciglia e con destinazioni che cambiano improvvisamente e al primo, per quanto debole, segnale d’allarme. Un ottimo insegnamento per uno stato di politici pavidi e senza spina dorsale e, volendo sottilizzare, anche per quella innumerevole schiera di gente nata per il premio Nobel in Tuttologia e che non ha altro sfogo che scrivere porcate sgrammaticate da un profilo social. Uno dei tanti.
Tocca pure inventarsi una vita. Mentre chi la vita la ama al punto tale da lottare anche per quella degli altri vive sotto costante minaccia di perderla, quella vita che serve a un paese intero.
E la notizia diventano le lacrime: mentre la notizia sono quei ministri, quei politici, i quali – più di uno e in più di un’occasione – hanno minacciato di togliere la scorta a Saviano (o a Ranucci) con la faciloneria che è propria degli incoscienti. Per Saviano e Capaccione la fine di un incubo durato sedici anni (conferma della condanna in secondo grado, c’è da pregare affinché non ne inizi un altro): “… i boss con i loro avvocati firmarono un appello in cui misero nel mirino chi raccontava il potere criminale. E non attaccarono la politica ma il giornalismo insinuando che avrebbero ritenuto i giornalisti, e fu fatto il mio nome e quello di Rosaria Capacchione, i responsabili delle loro condanne. Non era mai successo in un’aula del tribunale, in nessuna parte del mondo”.
Un commento lapidario che, a volerlo leggere, spiega molto. Forse moltissimo.
(15 luglio 2025)
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