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Non c’è un domani a Gaza

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di Samuele Vegna

Affezionatə Lettorə, forse c’è bisogno di scrivere di qualcosa che abbiamo dimenticato.

Immaginiamo un luogo dove camminare per strada, per un bambino, significa morte certa.

Immaginiamo lo stesso luogo con donne e uomini che camminano per strada e che muoiono per una necessità quotidiana: attraversare una strada, fare un determinato percorso, cercare cibo, portare cibo tra le macerie delle proprie case.

Immaginiamo un luogo dove non esistono più ospedali, dove il cibo è raro, dove non c’è alcuna musica, dove non esiste alcuna connessione internet, dove gli esseri viventi sono stati decimati e sono imprigionati senza alcuna via di fuga, costretti alla vita o costretti alla morte.

Non si tratta del film  “A quiet place” di Krasinski, nel quale sono degli alieni ciechi e indistruttibili che hanno un udito talmente sviluppato da uccidere ogni forma di vita che faccia il minimo rumore, ogni forma di vita che respiri, anche se ammetto che questa sembra l’essenza della nostra Storia presente. C’è soltanto una basilare, sottile, differenza, ovvero che gli alieni non sono arrivati sulla Terra, ma gli alieni siamo noi: tra esseri umani spesso ci trattiamo da alieni, avviene costantemente oramai, avviene laddove con superiorità e con potere si può essere crudeli e meschini.

Gli alieni sono i più deboli, le minoranze, gli stranieri, i migranti, i piccoli popoli che hanno un pezzo di terra risicato nel quale vivere perché gli è stato tolto tutto, e diventeremo anche noi, grandi popoli, alieni a noi stessi, quando pian piano ci avranno tolto tutto, pezzo dopo pezzo, decreto dopo decreto, con le armi puntate contro, come avviene in quella parte del mondo dove non ci sono più diritti umani fondamentali. Sembra un esperimento, un film, ma è tutto vero.

Intanto, quel luogo, così come lo descrive Gennaro Giudetti su Instagram, si chiama Gaza. Gennaro mi scrive tutti i giorni che può, perché spesso manca la connessione internet; il suo ultimo messaggio per me è stato:

Il porto è un cumulo di tende. I muri dei palazzi bombardati sono fasciati dal nylon, le gente cerca di viverci. L’ospedale pediatrico è stato bombardato. Le persone vengono uccise, che siano bambini o adulti poco importa, solo perché vanno a recuperare della farina, finita anche quella stanotte.

I camion di rifornimenti infatti non entrano più e le macerie, vengono nuovamente bombardate.

Nelle ultime 48 ore ci sono state oltre 200 vittime dove sto io.

Io stesso dall’Italia, non tengo più il conto delle vittime perché so, interiormente, che sono oltre il mezzo milione. La mia interiorità non è un dato, è pancia. E ne sono consapevole. Ed è sulla base di quella consapevolezza che posso solo acquisire e risolvere dentro di me questo tremendo numero; acquisire e risolvere dentro di me che questo momento storico che ricorderò come uno dei più sanguinosi e disumani; posso soltanto pensare che è cruento e crudele e che ci voglio far dimenticare, anestetizzandoci, censurando, due milioni di prigionierə e mezzo milione di morti.

Gaza è ormai un campo di concentramento, con negazione e punizione con la morte per richieste di cibo, acqua, medicine, latte in polvere. Migliaia di camion con gli aiuti umanitari sono in un limbo. Gaza è zona militarizzata controllata all’ottanta percento dall’esercito israeliano, che centellina – quando non impedisce – che entrino gli aiuti umanitari .

Chi legge queste righe, mi piace pensare tutte e tutti puri di cuore, sa che tutta questa è una verità per la quale si rischia la vita o la prigione; che è ricordare per sempre ogni singola vita distrutta o mutilata in una guerra con un solo esercito, quello israeliano, che sta commettendo un genocidio.

Vi saluto con un brano tratto da “Se questo è un uomo”, il diario della prigionia di Primo Levi, catturato dai fascisti italiani il giorno di Santa Lucia del 1943, deportato nei campi di concentramento di Fossoli, presso Modena, attivo dal 1942, e in quello di Auschwitz, nel febbraio del 1944:

“I prominenti ebrei costituiscono un triste e notevole fenomeno umano. In loro convergono le sofferenze presenti, passate  e ataviche, e la tradizione e l’educazione di ostilità verso lo straniero, per farne mostri di asocialità e di insensibilità. Si offra ad alcuni individui in stato di schiavitù una posizione privilegiata, un certo agio e una buona probabilità di sopravvivere, esigendone in cambio il tradimento della naturale solidarietà coi loro compagni, e certamente vi sarà chi accetterà. Costui sarà sottratto alla legge comune, e diverrà intangibile; sarà perciò tanto più odioso e odiato, quanto maggior potere gli sarà stato concesso.
Quando gli venga affidato il comando di un manipolo di sventurati, con diritto di vita o di morte su di essi, sarà crudele e tirannico, perché capirà che se non lo fosse abbastanza, un altro, giudicato più idoneo, subentrerebbe al suo posto. Inoltre avverrà che la sua capacità di odio, rimasta inappagata nella direzione degli oppressori, si riverserà, irragionevolmente, sugli oppressi: ed egli si troverà soddisfatto quando avrà scaricato sui suoi sottoposti l’offesa ricevuta dall’alto”. (Einaudi, 1958, 1963, 1989 e 2005, con postfazione di Cesare Segre pag. 82).

La Storia, si ripete. In ogni popolo.

 

 

 

(24 giugno 2025)

©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 





 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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