di Claudio Desirò
Il prossimo 5 Novembre ritorna l’appuntamento con le Elezioni Presidenziali USA che, mai come quest’anno, evidenziano ed evidenzieranno le difficoltà di un ricambio della classe dirigente, anche nella più grande Democrazia del Mondo.
Anche quest’anno, come già 4 anni fa, si troveranno ad affrontarsi due (poco) arzilli ottuagenari. Da un lato il Presidente in carica, quel Joe Biden che appare acciaccato, smemorato e con un appeal da leader in costante calo. Dall’altro, il suo avversario di sempre che risponde al nome di Donald Trump che, alla soglia dei 78 anni, mostra i primi segni del tempo ormai passato, evidenziato dalle battute pluriripetute, che ne scalfiscono l’immagine da uomo forte e del potere, che vorrebbe continuare a propinare alle masse polarizzate e radicalizzate di un mondo Repubblicano in crisi di identità ed in balia del populismo più d’accatto.
Una sfida già andata in scena 4 anni fa e che sfociò nell’attacco a Capital Hill in un tentativo di rovesciamento dell’esito elettorale, molto simile ad un vero e proprio colpo di Stato, fomentato dal perdente Trump. Un tentativo di soverchiare la Democrazia e l’esito elettorale di cui oggi, in parte dell’Occidente ed in parte degli stessi USA, sembra essersene persa memoria, sacrificata sull’altare della carenza di contenuti e di esponenti di qualità pronti a mettersi in gioco.
Ma, se da un lato l’estremizzazione ha portato il Gop, un tempo “Partito di Lincoln”, nelle braccia del populismo che solletica le pance dell’America più profonda, dall’altro lato l’estremizzazione del mondo progressista, o pseudo tale, americano, dedito alla cultura woke, ha ulteriormente impoverito dibattito e contenuti, divenuti inesorabilmente scontri ideologici tra opposti estremi. La rivisitazione artefatta di storia e cultura contro le sedicenti radice profonde, il terzomondismo e l’odio verso se stessi contro il sovranismo e l’isolazionismo, la quasi autarchia, in salsa Stars & Stripes.
Nel mezzo, una classe media quasi abbandonata dall’amministrazione Biden e che, seppur non rappresentando il target principale della campagna elettorale di Trump, sembra essere affascinata da una deriva verso contenuti più mediaticamente di impatto e ridondanti, divenendo un probabile ago della bilancia, insieme all’astensionismo.
Astensionismo che è stato ben evidente durante le primarie: nel mondo Repubblicano, con minimi storici di partecipanti al voto, e nella sfera Democratica, con un’importante percentuale di elettori che hanno scelto la “non scelta”, evidenziando la distanza dal Presidente in carica.
Un decadimento politico e culturale inesorabile che, nonostante tutto, affascina politologi e commentatori vari, ma che mettendosi nei panni dell’elettore medio americano, cala un velo di tristezza pensando a quello che è stato, in confronto a quello che è.
E, da questa parte dell’Oceano, un osservatore non ideologizzato è portato a pensare che il prossimo 5 Novembre sarebbe stato a casa, con pop corn pronti, per godersi il triste spettacolo di ciò che sarà.
(8 marzo 2024)
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