di Isabella Grassi
Dietro a un atleta che ha vinto tutto come Gianmarco Tamberi, Gimbo per chi lo ama, c’è un mondo invisibile ai più, ma molto importante per la crescita dell’atleta stesso. Ho avuto il piacere di conoscere uno dei professionisti che lo segue ormai da quasi 10 anni: il suo (ma è stato anche il mio) mental coach Luciano Sabbatini, marchigiano come lui e come lui una esplosione di simpatia e empatia.
Lo avevo già intervistato in occasione delle Olimpiadi di Tokyo, quando Gimbo ha condiviso l’oro olimpico con Barshim e in quella occasione a condividere le emozioni c’erano anche Massimo Magnani e Valeria Straneo, altri nomi importanti dell’atletica, oggi invece mi sono concentrata su Luciano Sabbatini perché credo che il suo ruolo abbia sempre più preso piede e vada fatto conoscere, per crescere con lo sport e per lo sport.
Quella che segue è la trascrizione pressoché fedele dell’intervista, perché le parole che sono state utilizzate ben rispondevano alle domande che man mano ponevo. Buona lettura.
L’impresa di Gimbo rende orgogliosi tutti gli italiani, ma per te, come mental coach che lo ha visto crescere deve essere motivo di orgoglio…
La soddisfazione più grande è stata sicuramente quella che ha visto premiati tutti gli sforzi di questo ragazzo, che ci ha sempre messo il 100 per cento dell’impegno, ha dovuto superare difficoltà importanti per cui il mio primo pensiero va a lui. Di riflesso per chi come me vive il mondo dello sport da tanti anni, vincere un mondiale, vincere una olimpiade è il sogno di ogni sportivo, ognuno per il suo ruolo. La soddisfazione è quindi immensa ma ripeto il mio primo pensiero va a lui.
Vuoi dirci come lo hai visto crescere e quali delle sue qualità hai visto migliorare?Lo ho visto crescere nella capacità di orientare questa energia pazzesca interiore e finalizzarla di più a quello che a lui serviva, ha quindi maturato questa sua capacità, già dentro di lui.
Quanto pensi abbia influito il suo passato da giocatore di basket?
E’ stato determinante per farlo diventare l’atleta che è, per la capacità di stare in squadra e questo lo si vede ampiamente anche per come svolge il ruolo di capitano, sempre pronto ad aiutare i compagni, lo si vede da come vive la pedana con gli avversari diretti e soprattutto per la capacità che ha di mettersi in posizione di aiuto rispetto agli altri. In ultimo ha usato la sua grande passione del basket per riequilibrare l’impegno totalizzante di uno sport individuale, con la passione e il divertimento tipici dello sport di squadra
Dalle Olimpiadi ai Mondiali passando per gli europei, con una misura 2,36 a farla da padrona. Da mental coach, ritieni che possa quasi essere un blocco o pensi invece che sia uno stimolo?
No, assolutamente no, escludo che esista una misura di blocco per Gianmarco, se l’americano ai mondiali avesse saltato 2,38 li avrebbe saltati anche lui.
Gimbo e Barshim, amici e antagonisti. Non si erano ancora spenti i ricordi della condivisione dell’oro di Tokyo che sono arrivate le immagini della bandiera italiana sulle spalle di Tamberi che vola su quelle dell’amico. Gianmarco vive l’atletica quasi come uno sport di squadra. Un tuo commento su questa visione?Nessun uomo è un’isola, fare squadra è importante, ci fa sentire meno soli. Come ho già detto l’esperienza del basket ha creato in Giamarco un atleta con una visione diversa da quella che solitamente ci mostrano gli sportivi del mondo dell’atletica.
Nella precedente intervista che mi hai rilasciato in occasione dell’oro delle olimpiadi, interrogato sul ruolo del mental coach mi hai risposto come il principale strumento a tua disposizione sia fare domande all’atleta che inducano reazioni di cambiamento e che devi concentrarsi sull’atleta, non sulla tecnica sportiva. In questi due anni, sei ancora della stessa opinione? Sono cambiate le domande o sono cambiate le risposte?
Assolutamente sì, il ruolo del mental coach è sviluppare il potenziale di un atleta ed acquisire una consapevolezza sempre maggiore rispetto a quali sono gli obiettivi dell’atleta stesso, definiti i quali costruire un percorso che possa essere anche piacevole e divertente e agibile. Le domande sono cambiate perché le così dette domande potenti nel coaching nascono dalla capacità di ascolto di quello che l’atleta dice ma anche di quello che non dice. Cambiano le domande e per fortuna anche le risposte sono diverse.
Quanta fatica hai condiviso questa volta con Gimbo? Saltavi con lui, seguendolo a distanza?
Quando ci sono manifestazioni così importanti c’è un pensiero costante che ti attraversa, sia quando si lavora insieme sia quando non si lavora insieme, si condivide una fatica, per fortuna un po’ meno fisicamente per quanto mi riguarda perché l’atleta è lui ma si condivide questo processo di avvicinamento all’appuntamento e anche se sono abbastanza composto nelle mie manifestazioni, non nascondo che anche questa volta, vuoi per il caldo, vuoi per la gara è stata molto impegnativa e ho sudato abbastanza.
Con la Franco Angeli Editore hai scritto un libro: “L’Atleta Interiore” insieme a Franco Rossi, che vuole essere un libro dedicato agli allenatori ma nel contempo vuole offrire spunti di riflessione anche ad atleti e mental coach. Vuoi lasciare per i nostri lettori una breve impressione?
Questo libro nasce dall’esperienza condivisa nello sport e nel coaching tra me e Franco Rossi, è stato un bel viaggio perché abbiamo voluto creare un testo con dei riferimenti neuroscientifici ben chiari dove la nostra esperienza fosse poi accompagnata da dei supporti scientifici che derivano appunto dalla ricerca in diversi ambiti e principalmente dallo sport. E’ un bel testo, essenziale per le tematiche che affronta per l’allenatore, affronta tematiche come la leadership, come costruire l’ossatura di una stagione, come lavorare sugli obiettivi, la costruzione delle azioni ed il monitoraggio delle stesse. Nel libro viene fuori tutto l’invisibile della attività sportiva, come l’allenamento alle emozioni, come riuscire a lavorare in modo ottimale sugli automatismi. E’ un buon testo e forse l’unico che tratta del tema della felicità, fondamentale non solo per crescere riuscendo a sviluppare appieno il proprio potenziale, ma anche per creare dei percorsi piacevoli in modo che il percorso per raggiungere il risultato sia si impegnativo ma non traumatizzante e anzi accompagnato a una piacevole esplorazione della propria persona.
Saluto quindi al termine di questa chiacchierata Luciano Sabbatini, ringraziandolo ancora una volta per quello che fa e per quello che dice. Alla prossima avventura.
(25 agosto 2023)
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