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E così abbiamo scoperto che fare campagna elettorale contro l’autarchia e i neofascismi è “sbagliato”….

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di Giancarlo Grassi

Non siamo gente che si affeziona, per spiegarci, né pensiamo che le persone nn siano sostituibili essendo i cimiteri strapieni di gente che si riteneva (e ritenuta) indispensabile, quindi non è per amore di Enrico Letta che stiamo scrivendo questo commento mentre Stefano Bonaccini scalda i motori pronto a diventare il segretario PD più scomodo della storia recente del partito, tuttavia i giudizi su Letta sono ingenerosi. E ciechi.

Succede che Letta abbia cercato, attraverso una campagna elettorale considerata sbagliata da tutti i media che presumono di progressismo, soprattutto da quelli e non sappiamo quanto casualmente, di risvegliare un sano antifascismo, un necessario no alle nuove autarchie, un niente affatto inutile no a una Meloni ipersovranista il cui asse politico parte da Orbán e finisce agli spagnoli di Vox passando attraverso tutti i sovranismi d’Europa. E questo sembra essere sbagliato.

Siamo davvero un paese esilarante: di fronte a una simile destra sempre più a destra che ha la faccia tosta di ripresentarsi alle elezioni undici anni dopo quel drammatico 2011 che ha visto cadere l’ultimo governo Berlusconi, del quale Meloni era ministra della Gioventù (durante il di lei augusto regno la disoccupazione giovanile aumentò arrivando al 27%), e si ripresenta con gli stessi uomini e donne che hanno semplicemente cambiato casacca e in alcuni casi anche facce con l’aiuto di costosissimi e sontuosi lifting, perché il lifting è d’obbligo per le destre; che presenta un programma di governo che in realtà sono tre, uno diverso dall’altro e tutti fotocopia di ciò che hanno già promesso dal 1996 e che non hanno mai realizzato, i media italiani riescono a soffermarsi sulla campagna elettorale di Enrico Letta protestando perché è sbagliata e definendola sbagliata, quasi gongolando perché è sbagliata.

Siamo davvero un paese esilarante: sembra che tutti i media che presumono di progressismo si sforzino di cercare la rottura traumatica dentro un partito che i traumi è perfettamente capace di crearseli da solo, per necessità di costruire la notizia sul cambio di segreteria eventuale – che è il simbolo della democrazia presente dentro quel partito e che, dopo ogni elezione, cambia democraticamente i suoi vertici in un modo di fare politica che si contrappone ai verticismi dei partito a dimensione personale, che nascono dopo battaglie sulla proprietà di un simbolo e che sono partiti-del-padrone dove i suoi esponenti non sono politici, ma civil-servant. Dicasi schiacciabottoni.

Nemmeno contestare una simile visione della politica, però, sembra andare bene.  Non è terrificante, nella sua follia?

 

(22 settembre 2022)

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