di Daniele Santi
Dopo l’incontro in videoconferenza con Zelenski la politica italiana dice la sua, perché deve sempre dire la sua, e tra le sensate e assennate dichiarazioni di tutti i partiti, Meloni e Letta in testa, Salvini si distingue perché non parla di politica, ma parla di sé.
La pregnante dichiarazione che rilascia ai cronisti parla infatti della sua “difficoltà” a “sentire parlare di armi”, figurarsi come ci rimanevamo noi quando lo vedevamo nella piazza del Cremlino infilato in una maglietta bianca con l’effige di Putin.
Naturalmente ha cercato il tono da statista: “Zelensky ha fatto un discorso di pace, io sono in difficoltà quando qualcuno parla di armi” aggiungendo poi “La diplomazia riprenda il suo spazio. Le armi non sono la soluzione”; che è un po’ come dire che l’acqua bagna rientrando fradici dopo un acquazzone. Avendo la pioggia, naturalmente.
Così l’improvvisato pacifista del leghismo umanitario, nuovo leader col saio coi risultati che vediamo, si autodenuncia non particolarmente attento a ciò che Zelenski ha detto, perché quello del presidente ucraino non è stato un discorso di pace. Almeno non nei termini mistici che il nuovo e poco credibile corso salviniano vorrebbe vendere ai leghisti ai quali ormai non vende più niente.
Quello di Zelenski è stato il discorso di un leader giustamente furioso con l’invasore – che è sempre quello del “Meno male che c’è Putin” (e non l’ho detto io) – e che ha cercato, invano, di toccare le corde dell’empatia italiana – e non ne abbiamo bisogno, con tutto il rispetto – chiedendoci di immaginare Genova come Mariupol, cosa che abbiamo già fatto quando abbiamo detto “No alla fly-zone”. Un discorso mirato alla pancia, meno politico di quello che avrebbe rivolto a una nazione meno amica, emotivo, che usa le armi del teatro a sfavore di quelle della diplomazia, ma che nulla toglie ad un presidente che resta in sella ed è riuscito con grande carisma e forza di spirito a far alzare tutto un popolo contro un nemico spietato e terribile.
La nostra critica va infatti all’arguta interpretazione salviniana, che non dimentica di citare papa Francesco senza citarlo, non certo al discorso di Zelenski.
(22 marzo 2022)
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