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HomeCINEMA & FESTIVALFestival del Cine Español 2019: riuscitissimo “Les distàncies” #Vistipervoi da Alessandro Paesano

Festival del Cine Español 2019: riuscitissimo “Les distàncies” #Vistipervoi da Alessandro Paesano

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di Alessandro Paesano #CinemaSpagna twitter@gaiaitaliacom #Cinema

 

Les distancies (Las distancias in spagnolo) (t.l. Le distanze) (Spagna, 2018) di Elena Trapé racconta di Olivia, che, insieme a Eloi, Guille e la ragazza di lui Anna, si recano a Berlino a trovare, non invitati, l’amico Comas per fargli una sorpresa per il suo 35mo compleanno. Nulla sappiamo delle relazioni tra i personaggi se non che sono amici di vecchia data e il film non ci spiega nulla anzi fa riferimento anche ad altri personaggi che non sono potuti venire

Questa sorpresa coglie impreparato Comas che sembra nascondere qualcosa al gruppo di amici barcellonesi. Dopo alcune frizioni tra Guille e gli altri durante la cena (il cui nucleo fondamentale sta nelle prospettive diverse indotte dalla precarietà economica che attanaglia Anna, Eloi e Olivia ma non Guille) usciti per bere qualcosa  Comas approfitta della scusa di andare a fumare una sigaretta per lasciare il locale e scompare senza fare ritorno a casa.

Il film della catalana Elena Trapé, alla sua opera seconda, presentato in concorso al Festival de Málaga dove ha vinto la Biznaga de Oro, dipana da questo nucleo narrativo semplice e plausibile, un giallo delle relazioni, originale e riuscitissimo.
Elemento catalizzatore è Guille del quale il film ci mostra l’attitudine al sopruso quando ce lo mostra mettere nella propria valigia dei cd che ha trovato a casa di Comas perché li aveva prestati all’amico, senza nemmeno dirgli che se li è ripresi, davanti un’Anna infastidita e dubbiosa.

Guille si mostra arrogante e sicuro di sé quando fa pesare la sua sicurezza economica pretendendo che Anna vada a vivere con lui mentre la ragazza non vuole essere mantenuta, o criticando ad Olivia la decisione di essere rimasta incinta in un momento di precarietà lavorativa, mentre rinfaccia Eloi di piangersi addosso invece di risolvere i suoi problemi economici rovinando la serata a tutti e inducendo Comas a piantare tutti in asso, quando sono in un bar.

A questa arroganza del denaro fa da contraltare l’abitudine a non essere sinceri che caratterizza in maniera diversa tutti i personaggi del film. Quando Comas ed Eloi vanno a fare la spesa per la cena del venerdì sera (prima che Comas li pianti in asso) Elie fa il cenno di cercare il portafogli per contribuire alla spesa di 52 euro, mentre non ha tutta quella disponibilità di denaro (lo scopriamo quando, già ubriaco, lo vediamo rubare la birra a un cliente in un bar il giorno dopo), senza dire all’amico la verità.

D’altronde che lui ha perso la casa ed è tornato a vivere dai suoi lo ha scritto a Comas in una mail che è andata persa…

Si delinea così oltre al solipsismo di una comunicazione mediata dalla tecnologia di parola scritta e non più orale, il conformismo del terzo millennio che non è più basato ai valori della classe sociale di origine bensì alla produttività personale come se anche la vita fosse una società del mercato capitalista da far fruttare o meno, cui commisurare il proprio successo.

Olivia e il resto del gruppo però non sono le vittime di una società spremuta fino al vuoto pneumatico dal neoliberismo, sono piuttosto gli agenti e le agenti di un sistema di valori dove la solidarietà lascia posto alla coltivazione del proprio particulare.

Ogni personaggio ha infatti una sua agenda per aver affrontato il viaggio a Berlino che poco o nulla ha a che fare con il compleanno di Comas: Anna, che nemmeno lo conosce, si accompagna a Guille, il quale vuole approfittare del viaggio per chiederle di sposarlo (ma Anna se ne ritorna a Barcellona prima che lui possa farlo); Eloi, in ristrettezze economiche, vuole solo prendersi una pausa da una vita difficile.

Olivia, infine,  è lì perché vuole riavvicinarsi a Comas e mostrargli un biglietto nel quale, anni prima, avevano preso l’impegno di provarci una seconda volta se a 35 anni fossero stati ancora single.

Olivia brucia quel foglio prima di riuscire a mostrarglielo, quando scopre che Comas è appena uscito da una storia di due anni con una ragazza più giovane di lui alla quale dice, chissà se per ripicca o perché è vero, che il bambino che aspetta è di Comas e non dell’uomo con il quale ha delle telefonate tese e di sopportazione.

Ognuno di questi snodi narrativi che qui riassumiamo vengono raccontati tramite dettagli visivi e non, che spetta al pubblico interpretare, reintegrare e fornire di senso.

Il film si presenta come un puzzle le cui tessere su cui decifrare le relazioni tra i personaggi devono essere messe al loro posto dal pubblico mentre il film prosegue con un andamento apparentemente svagato e cool  ma in realtà con un incedere sempre più fastidioso, perché pone il pubblico dinanzi alla totale incapacità delle persone di prendere sul serio i sentimenti, propri e altrui, per cui nessuno riesce a esprimere con assertività quel che pensa o quel che desidera, e anche alla totale mancanza di una rete di solidarietà dove la precarietà, che pure è un leitmotiv che accomuna, invece di unire separa perché ha l’effetto invalidante della malattia dalla quale si fugge come dinanzi la peste.

Un’insofferenza agli errori altrui che precipita immediatamente nell’intolleranza come capita al padrone del bar nel quale Eloi non avendo soldi per un’altra birra, disinibito dall’alcool, la prende dal tavolo di un cliente, che, mentre lo butta fuori, gli dice maledetto turista che per un commerciante non è proprio un commento coerente.

E se le simpatie di chi scrive vanno per il personaggio di Olivia anche lei è però esattamente come gli altri: quando un ragazzo al quale ha chiesto una sigaretta le ricorda che, data la sua gravidanza non dovrebbe fumare, e lei gli risponde lo so il ragazzo le chiede e allora perché lo fai? Olivia non sa cosa rispondere e per egoismo personale mette a repentaglio la vita della nascitura.

Bisogna fare attenzione a non ridurre il film nella gabbia del ritratto generazionale perché la forza di Les distancies sta proprio nel mostrare i rapporti inesistenti di una società malata, che abbiamo svuotato di ogni solidarietà e di ogni contatto diretto, mediata da una serie di filtri che consente a ognuno e ognuna di vivere come se fosse l’unico essere umano del pianeta incapace a prendere in considerazione le esigenze delle altre persone e, anche, a chiedere aiuto, per inseguire i facili miraggi di un neoliberismo selvaggio per la rincorsa verso il quale ci siamo rinchiuse e rinchiusi in un solipsismo che non ammette errori, figuriamoci sconfitte, in un universo di monadi nel quale non si vive ma si sopravvive, e questo è già una sconfitta.

E nel film è chiaro anche come la mancanza di una rete di solidarietà sociale  non sia la causa quanto l’effetto dell’immaturità adolescenziale che colpisce tutti i personaggi del film, proprio come capisce nel mondo reale noi tutte e tutti, che affrontano senza sincerità (prima di tutto con se stessi e se stesse)  le proprie vite sia nel quotidiano delle piccole cose che nelle questioni fondamentali.

Sostenuto da una cast esemplare (Alexandra Jiménez, Bruno Sevilla, María Ribera, Isak Férriz e Miki Esparbé) che sa donare ai personaggi una forza incredibile impiegata per far emergere il personaggio e non l’interprete (ma non dovrebbe sempre essere così?), da una fotografia perfetta (del grande Julián Elizalde) i cui toni cupi e grigi la fanno sembrare quasi in bianco e nero Les distancies è sicuramente il film più interessante, so far, della dodicesima edizione del Festival del cine español che sa additare questioni e problematiche vive e concrete costringendo ognuno e ognuna di noi ad affrontare i propri fantasmi che nel film sono tutti presenti.

Un altro gioiello di una edizione del Festival preziosa e indispensabile.

 

 




 

 

(8 maggio 2019)

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