di Vittorio Lussana #Giustappunto! twitter@gaiaitaliacom #Italia
Questa settimana vorrei dedicare alcuni pensieri alla difficile situazione in cui si ritrova il Partito democratico. Una forza politica che si è logorata in 5 anni di governo tra i più difficili che siano mai capitati nella Storia della Repubblica italiana e che, dunque, avrebbe dei meriti da reclamare. A cominciare dall’aver salvato centinaia di migliaia di persone che rischiavano di annegare nel mar Mediterraneo. Purtroppo, avere dei meriti, in Italia, è la peggior cosa che può capitare. Ed è principalmente per questo motivo che questo Paese merita che gli capiti tutto il male possibile. Ma proprio tutto il male possibile. Tuttavia, il Partito democratico e la sinistra italiana nel suo complesso, ora deve cominciare a reagire con una nuova politica di opposizione seria e intelligente. Bisogna tenere a mente, innanzitutto, la lezione che il Paese ha impartito. Una lezione che non dev’essere dimenticata, questa volta. Innanzitutto, è necessario studiare un nuovo linguaggio, perché la lezione del 4 marzo c’insegna che qualsiasi falsità, spacciata con insistenza, viene considerata dai cittadini come una verità. Ciò non significa che si debba scendere sul medesimo piano delle destre, ma che bisogna individuare un linguaggio più semplice, in grado di far comprendere ai cittadini paradossi e assurdità, soprattutto quando vengono propinati dispiegando piena forza mediatica. Vittorio Feltri, tanto per fare un esempio, con la frase: “L’Onu è un ente inutile” è la prova classica di come la faciloneria funzioni più della sostanza delle cose, anche quando esprime un’evidente assurdità. Ricordiamo che Feltri, il giorno dopo la strage di Utoya, pubblicò un editoriale in cui definiva i giovani socialisti sterminati come degli sprovveduti, che non avevano saputo difendersi contro un solo assassino, anche se armato fino a denti. E’ inutile provare a spiegare alla gente con quale metodologia criminale quei ragazzi finirono con l’essere ingannati uno per volta: questo non serve e complica ulteriormente le cose. Serve, invece, ricominciare a espellere dal corpo sociale, prima ancora che da quello amministrativo o politico-istituzionale, le professionalità indegne. Servono lezioni rapide ed esemplari, al fine di riportare al centro del Paese lo Stato di diritto, che non può essere chiamato in causa solo quando fa più comodo.
Sempre nel merito della strage di Utoya, il collega Mario Sechi, a quei tempi direttore de ‘Il Tempo’ di Roma, licenziò un editoriale in cui si espresse, dalla prima all’ultima riga, contro il terrorismo islamico, senza minimamente andare a verificare – come dovrebbe fare un vero professionista – che l’assassino autore di quelle stragi, quella di Utoya e quella di Oslo, era in realtà un cittadino norvegese, un occidentale. Sechi non commise quell’errore nel tentativo di sviare ogni indagine o approfondimento, cioè per ‘dolo’, bensì al fine di utilizzare lo strumento assolutista e totalitario dell’individuazione di un nemico generico, oltre che commettere la grave inadempienza deontologica di non aver verificato l’attendibilità delle proprie fonti. Questo genere di logiche, assolutamente distanti dal moderatismo conservatore di un Churchill o di un De Gasperi, debbono essere definite per quello che sono. Ovvero, in quanto indegnità professionale e morale da sanzionare perché tali.
In tal senso, la faciloneria di un Di Battista che chiede l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti diviene un messaggio pericoloso, che il popolo tende a interpretare come forma di protesta contro una ‘nuova casta’, quella dell’informazione, mentre invece, in un Paese in cui gli organi di controllo vengono sempre più a mancare, propugnare l’abolizione di uno di essi significa essere degli irresponsabili, poiché inconsapevoli della deriva degenerativa e di massificazione sempre più evidente della popolazione italiana. Non si tratta di educare gli italiani alla conoscenza della giurisprudenza: si tratta, al contrario, di dare dimostrazioni concrete di giustizia, poiché anche le forze politiche che considerano se stesse ispirate da concezioni idealistiche, spirituali o trascendenti, in realtà sono ormai da tempo scivolate sul terreno del materialismo più spicciolo e volgare. Ed è sul quel terreno che bisogna rispondere: quello delle dimostrazioni concrete e con sempre maggior efficacia.
Per quanto si possa utilizzare lo sterco come concimante, la merda è sempre merda. Ed essa va definita e trattata in quanto tale, senza troppi ‘fronzoli’ formali. La forma è sostanza, sul terreno istituzionale dei rapporti politici, ma quando essa diventa contenuto, la deriva che rischia di innescarsi può anche essere pericolosa, poiché costringe gli italiani ad aggirarsi all’interno di un labirinto degli specchi. Sarebbe ora d’infrangere questi specchi, spiegando ai cittadini che la politica non è un gioco all’interno di un ‘circo Barnum’, parafrasando Gramsci.
Una parte di questo Paese ragiona in base a criteri illegali, se non criminali. Ed è ora che si cominci ad affermarlo chiaramente, ponendosi dalla parte di Frank Serpico, anziché assimilare metodologie da tifoseria calcistica. La politica non è uno spettacolo, perché se così fosse si trasformerebbe ben presto in una farsa: essa è soprattutto un’immensa tragedia.
(20 settembre 2018)
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