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Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia: “Epoca Fiorucci”, fino al 6 gennaio

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di Emilio Campanella #Arte twitter@gaiaitaliacom #Cultura

 

 

Per un lasso di tempo molto prolungato, la quasi totalità del secondo piano nobile di Ca’ Pesaro, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Venezia, sarà a disposizione del pubblico che potrà visitare sino al 6 gennaio 2019, la curiosa mostra: Epoca Fiorucci. Se una manifestazione sulla moda sarebbe più adatta al poco lontano Palazzo Mocenigo, museo dedicato al costume ed ai profumi, gli spazi più neutri del secondo piano di Ca’ Pesaro, sono maggiormente adatti ai colori rutilanti ed al glamour giovanilistico di alcuni decenni fa, inventato da Elio Fiorucci. Entrando si rimane colpiti da un’esplosione, di colori, e nel salone principale, dall’effetto di un gigantesco show room reinventato (progetto di allestimento: Studio Baldessari e Baldessari) con abiti esposti, appesi, mostrati, più o meno per decennio. Qui il rigore scientifico, se voleva essercene uno, va un po’ a farsi benedire, come si diceva una volta. Finestroni colorati, tinte sature, labirinto di vestitini, magliettine, jeans, costumini, tante immagini di pin ups notissime e reinventate all’epoca con uno sguardo al pop, agli artisti più in voga. Si fanno i nomi di Warhol, Basquiat, Haring, che parteciparono all’avventura americana, ma anche a quella milanese. Il problema è che tutto risulta mescolato, accennato, suggerito, più che narrato con una logica di racconto cronologico che avrebbe indubbiamente giovato.

Se voleva essere un capitolo di storia della moda e del costume italiano, e della sua presenza internazionale, che anche grazie ad Elio Fiorucci aveva conquistato un proprio indubbio spazio di interesse, l’occasione è decisamente mancata, anche a causa di un allestimento, sì firmatissimo, ma storicamente poco efficace. Si voleva creare una seconda tappa della moda nel mondo dell’Arte Moderna, dopo la bella occasione di: Culture Chanel – La donna che legge – La femme qui lit, dedicata alla biblioteca di Coco Chanel, ospitata nel 2016, ma questo secondo capitolo non è all’altezza del primo, proprio per il rigore che manca. E’ un vero peccato, un’occasione mancata per superficialità e pressapochismo.

Salvo l’audiovisivo, interessantissimo, relativo ai ritratti di Oliviero Toscani, degli invitati all’inaugurazione dello Studio 54 di New York nel 1977, vero spaccato di un’epoca, soprattutto considerando che Elio Fiorucci creò l’evento.

Si parla un po’ di architettura di interni, dell’opera di Keith Haring anche nel negozio milanese, un tavolone espone oggetti ed oggettini, fanciulline, angioletti, pupazzetti, cartoline ed etichette, borsette, spillette, valigette, magliette, placchette, trombette, lorgnette, scapette, bottigliette, borraccette, ma anche rossetti, belletti, corsetti, fiocchetti, tubetti… che ricordiamo tutti benissimo…ah niente per uomo, solo donna, ma si sa, va di più, e un po’ di Fioruccino, una delle tante idee vincenti. Al piano terra, la libreria, o book shop, come preferiscono dire taluni, pieno zeppo di parafernalia fiorucciani a prezzi importanti. Anche il catalogo ponderoso, ha un prezzo importante, ma almeno, ricchissimo di immagini e saggi approfonditi, rende ciò che la mostra non riesce a proporre coerentemente.

 





(10 luglio 2018)

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