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Balotelli, Iwobi e il marchio coloniale della cultura occidentale

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di Mila Mercadante #visioni twitter@gaiaitaliacom #balotelli

 

“Il bianco può comportarsi in modo sano di fronte al nero. Il nero può comportarsi in modo sano di fronte al bianco?” Da Pelle nera, maschere bianche, di Frantz Fanon

 

Iwobi, nigeriano acculturato ed integratissimo, fiore all’occhiello della Lega da ben 25 anni ed esposto pubblicamente quando serve, non appena è stato eletto senatore ha suscitato polemiche e discussioni. Un Balotelli scandalizzato, con una geniale intuizione si è domandato se il signor Iwobi fosse stato informato d’essere un nero. E’ da qui che vorrei partire per parlare del marchio coloniale che si annida in tutti i discorsi del progressismo e della cultura umanistica occidentale. Non è solo Salvini con la Lega a peccare di manifesta malafede: la stessa malafede – non un po’ di più o un po’ di meno – caratterizza tutti. Basterebbe ammetterlo per smetterla di dare del razzista a chi, facendo a meno delle sovrastrutture del politicamente corretto, non è altro che lo specchio nel quale dobbiamo guardare.

Una femminista di alto livello come Laura Fantone definisce giustamente “islamofobia progressista” la tendenza a voler salvare le donne musulmane dall’oppressione della cultura islamica maschilista e sessista. Il velo per noi è sottomissione tout court, e va tolto, così come non tolleriamo che le donne islamiche all’interno della struttura familiare obbediscano alle regole stabilite dal capofamiglia. In pratica attraverso il soggetto più debole – la donna – pretendiamo di modificare un modo di pensare e conseguentemente di insegnare al maschio nero e islamico com’è che ci si deve comportare in Europa. Eppure – come racconta in un libro Frantz Fanon – quel velo e quegli abiti lunghi e larghi che proteggono il corpo femminile servirono alle donne algerine nella lotta contro i colonizzatori francesi: grazie all’abbigliamento nascondevano armi, messaggi, viveri. Dopo quella lotta strenua le donne cominciarono ad affrancarsi dal dominio maschile, si liberarono. Da sole. Non furono i colonizzatori ad emanciparle, fu proprio la lotta in sé: attraverso l’azione esse conobbero una libertà mai provata prima, capirono di potercela fare, di valere, di contare a prescindere dall’identità di genere. Non lotte per liberare le donne, bensì lotte delle donne per la libertà, ha scritto qualcuno. Questo concetto va allargato ai neri, a tutti gli oppressi della Storia. Significa che l’idea di liberarsi e la volontà di liberarsi non possono e non devono partire dal di fuori, non per opera di altri, di stranieri bianchi e laici, o di governi. I colonizzatori sono tutti coloro che desiderano intromettersi perché si reputano migliori e soprattutto perché sentono la necessità di rendere tutti uguali a loro.

Che c’entra questo con Iwobi e Balotelli? C’entra e ci va a braccetto: la questione femminile e quella dell’alterità rappresentata dallo straniero di colore sono strettamente collegate se le si osserva dal punto di vista dell’esperienza alienante del proprio corpo percepito con gli occhi di chi lo guarda (razzismo e sessismo sono strettamente collegati), e quindi dell’elemento coloniale di cui l’occidente non è capace di disfarsi. I progressisti – alla stessa stregua di Salvini e compagnia, lo ripeto – negano di considerare inferiori i neri e gli islamici, ma offrono loro aiuti umanitari ed ospitalità a patto che essi si integrino perfettamente, assimilando e rispettando i loro valori, accettando di svolgere mestieri umili e di non avere pretese. Il tema del meticciato, che uomini di cultura come Eugenio Scalfari o Corrado Augias hanno affrontato recentemente, dimostra che la mentalità coloniale è sempre identica, eterna: i colonizzatori del passato dicevano “Prendiamo le donne, il resto verrà da sé”: il meticciato non è altro che il desiderio dell’uomo bianco di smacchiare o scolorire il nero, ingravidando la donna nera e figliando una prole sempre meno scura. Il progressista dal volto umano e Salvini sono uguali senza saperlo: a nessuno dei due interessa riconoscere lo straniero, gli interessa che lavori e produca, e basta. Il più che maldestro sindaco di Firenze ci ha dimostrato quanto nella pratica siamo disposti a riconoscere l’estraneo: la sua incontenibile stizza per le manifestazioni di rabbia espresse dalla comunità senegalese dopo l’uccisione di un connazionale per mano di un italiano ha messo sullo stesso piano un morto e quattro fioriere in frantumi.  Per tutte queste ragioni è letteralmente impossibile credere nell’integrazione come a un successo della democrazia: l’integrazione è una parola con cui ci si riempie la bocca ma si basa essenzialmente sulla volontà di cancellare le differenze culturali e religiose, o quantomeno di attutirle molto, fino a renderle totalmente innocue.Quando ciò non avviene, nascono i ghetti, le zone invalicabili, i territori del dominio degli esclusi.

Non può funzionare, per fortuna non tutti sono Iwobi, felici di rappresentare i princìpi dell’ospitante, ovviamente solo dopo esser diventati cittadini benestanti. E’ pur vero che gli immigrati irregolari costituiscono un problema per gli immigrati regolari molto più che per gli italiani: la cattiva fama di cui sono fatti oggetto i delinquenti non controllabili colpisce direttamente chi ha fatto sacrifici per accettare un mondo diverso e per essere considerato al pari dei nativi. Per quanto mi riguarda non esiste categoria umana più colonizzabile del nero povero, sia che resti a casa sua, sia che raggiunga qui il suo benefattore-sfruttatore. Desiderando che tutto cambi, fino al punto da non doverli più ospitare nel mio paese oppure cacciarli dal mio paese, tengo veramente alla loro liberazione. Non so quanto ci tengano coloro che vivono nel mito dell’accoglienza e non si vergognano quando guardano in faccia la realtà. Mi spiego meglio: la faccenda (che si parli di immigrati, di donne, di omosessuali o di meridionali) è tutta politica, non etica, signori. Ha a che fare col capitalismo.

“Lotto per la nascita di un mondo umano, ovvero per la nascita di un mondo di riconoscimenti reciproci”: sono parole di Frantz Fanon, correte in libreria a comprare Pelle nera, maschere bianche, se non lo avete letto.





(7 marzo 2018)

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