di Giancarlo Grassi #politica twitter@gaiaitaliacom #banche
Mentre si scatena l’inferno attorno al PD che ha voluto la commissione d’inchiesta sulle banche, scelta che rischia – ne erano consapevoli – di travolgere anche il loro partito nel caso fossero chiarite responsabilità dirette nei crac della banche, come successe per una certa banca del nord voluta da un certo partito che si è inventato per due decenni una regione geografica che non esisteva e che ora ha cambiato rotta.
La Repubblica, che è notoriamente un quotidiano che agisce e pensa come un partito politico, esattamente come il buon Eugenio Scalfari che gli scranni parlamentari ha frequentato, prima di diventare acerrimo nemico di chi lo aveva candidato, ha loro insegnato. La Repubblica è quel quotidiano che chiede al PD di non candidare Maria Elena Boschi con un editoriale estremamente critico del suo direttore Mario Calabresi che inizia ricordando come proprio La Repubblica criticò, subito dopo la nascita del governo Gentiloni, la scelta di promuovere Maria Elena Boschi, che era stata la principale autrice della riforma costituzionale bocciata al referendum. Secondo Calabresi riconfermare Boschi era “una scelta evitabile che rafforza diffidenze, gonfia il qualunquismo e lascia un retrogusto di furbizia e immaturità”. Secondo Calabresi la scelta di ricandidare Boschi era stata dettata “dalla sola opportunità politica”. Quindi il direttore di Repubblica, che secondo noi cade nella trappola del considerare Boschi la principessa del male e dimentica di denunciare con la dovuta forza il vero reale conservatorismo italiano che sta scatenando la reazione “l’uscita di scena di Boschi, non dal governo ma dal Partito democratico e dalle sue candidature, è ora il passo necessario e indispensabile per provare a contenere i danni e per mostrare ai propri elettori di aver compreso la differenza tra interesse generale e interesse familiare”. Per Calabresi, Marco Carrai “di Matteo Renzi è da sempre non solo l’uomo di fiducia ma anche una specie di gemello siamese” e a Maria Elena Boschi sfugge “il concetto dell’opportunità e contemporaneamente quello del conflitto d’interessi”. Per fortuna c’è La Repubblica alla quale non sfugge niente.
Non sfugge ad esempio, ma Calabresi non lo dice, che la nascita di Mdp, o Movimento delle Poltrone, è più o meno contemporanea alla decisione di Renzi di istituire la commissione d’inchiesta sulle banche ed alla sua messa in atto. Sarà anche un caso. Non sfugge, ma si guarda bene da dirlo, che l’operazione di restaurazione e di “No” a tutto è diretto non al Partito Democratico – Repubblica ha sopportato ben altre disgrazie dal partito che fu di Bersani e D’Alema prima che un giovinastro si pigliasse quattro milioni e mezzo di voti in due tornate di primarie interne – ma al Partito Democratico di Matteo Renzi il quale non si fa nessuno scrupolo a rispondere al quotidiano con una lettera che pubblichiamo di seguito e che firma insieme al presidente del PD Matteo Orfini.
“Caro Direttore,
più volte in questi giorni Repubblica ha parlato della Commissione di inchiesta sulle banche come di un autogol del Pd. Rispettiamo il giudizio ma vogliamo rivendicare con forza, invece, la nostra scelta. Le perdite lorde cumulate delle banche italiane che hanno registrato criticità nel periodo 2011-2016 ammontano a circa 44 miliardi di euro. A tale cifra vanno aggiunti i miliardi persi da decine di migliaia di piccoli azionisti e detentori di obbligazioni subordinate, in primo luogo delle due popolari venete non quotate, le cui azioni erano state fissate arbitrariamente a prezzi non di mercato, del tutto irrealistici, che poi sono stati brutalmente azzerati. Una immensa platea di piccoli risparmiatori è stata letteralmente massacrata. Davanti a un disastro di queste proporzioni può una politica seria non affrontare la questione?Ma chi crede nella politica che propone? Il riformista che vuole cambiare davvero le cose che fa?
Intanto fa chiarezza. Perché chiarire le responsabilità è l’unica soluzione per evitare che migliaia di altri risparmiatori debbano perdere in futuro i propri risparmi.Hanno sbagliato i manager che hanno fatto fallire le banche, certo.
Hanno sbagliato gli amministratori incapaci o addirittura complici di disegni criminosi.
Hanno sbagliato i politici che non hanno avuto il coraggio di fare in Italia ciò che si è fatto in Germania o Spagna, quando ancora le regole permettevano l’intervento pubblico.
Ma è mancato anche – in molte circostanze – un sistema di vigilanza e controllo degno di questo nome. Da parte delle strutture preposte come onestamente, anche se timidamente, riconosciuto nelle audizioni della Vigilanza
istituzionale.Qualcosa non ha funzionato nelle strutture preposte: dirlo non ci serve per una sterile rivendicazione sul passato quanto per costruire un futuro più solido. E anche nella vigilanza della società civile che mai ha messo al centro del dibattito la questione bancaria senza demagogia. A cominciare dalle realtà editoriali che hanno sempre faticato non poco a spezzare il doppio filo di collegamento con il mondo del credito. Su questi temi il PD non ha paura di niente e di nessuno.
Chissà cosa sarebbe accaduto al sistema italiano se nel gennaio 2015 non avessimo fatto quel decreto legge per le popolari.
Rivendichiamo tutti i salvataggi dei correntisti e dei posti di lavoro, quelli riusciti e quelli soltanto tentati: l’ipocrisia di chi finge di considerare improprio un intervento a tutela dell`economia del territorio è pari solo alla miopia di chi non vede che i veri scandali si sono potuti compiere perché non vi era la giusta attenzione da parte dei media e della politica. Rivendichiamo l’operazione Atlante che ha impedito tra gli altri la distruzione di un pezzo fondamentale del sistema bancario, segnatamente Unicredit, come sanno tutti gli addetti ai lavori e non solo loro.
La Commissione parlamentare di inchiesta ha acceso un faro autorevole su tutto ciò e la sua attività è stata utile. Lo vedremo nella relazione finale. Le polemiche dureranno ancora qualche giorno, i risultati di questa commissione saranno utili per qualche anno.Certo, i media hanno spesso dato più spazio alle vicende della Banca Etruria, le cui perdite rappresentano poco più dell’1,5% delle perdite cumulate delle banche italiane in crisi degli ultimi anni, che non a ciò che ha determinato il restante 98,5% di perdite! Senza contare l’azzeramento delle azioni delle due popolari venete non quotate.
E anche su Etruria l’attenzione morbosa è stata sulle agende, sugli incontri, sul gossip, senza toccare il vero punto: che non c`è stata alcuna pressione ma una doverosa attività di informazione e attenzione. Quando c’è stato da commissariare, noi abbiamo commissariato senza riguardo ai nomi e ai cognomi. Nessuno ha avuto favoritismi, tutt’altro. Ma proprio per questo siamo seri: davvero può essere credibile l`attenzione spasmodica alle vicende di una piccola banca che comunque il Governo ha trattato esattamente come le altre nelle stesse situazioni? Non suona stupefacente il fatto che si insista in modo ossessivo su una singola vicenda – peraltro del tutto legittima – e si rifiuti di guardare il problema nella sua gravità e complessità?
Adesso che i lavori della Commissione volgono al termine vogliamo dire con forza che un partito politico di sinistra ha il dovere di indicare cosa non funziona nel mondo del credito e provare a cambiare lo status quo senza alcun riguardo ai poteri forti e ai pensieri deboli che questo Paese esprime. Vogliamo dire che la politica ha il diritto e il dovere di fare la propria parte senza delegare interi settori alla tecnocrazia e agli interessi tradizionali.
Chi come noi non ha scheletri negli armadi, chi non ha niente da nascondere dice con forza e a viso aperto che mentre la Commissione va verso la chiusura dei lavori si apre la vera questione: riuscire finalmente a togliere l’argomento banche dalle mani dei populisti e provare a cambiare sul serio. E anche se i media, in queste ore, si sono occupati di altro, noi continueremo con forza a rivendicare il diritto e il dovere della politica riformista di non cedere alla demagogia e al qualunquismo.
Quindi il quotidiano-partito condanna l’eventuale presenza di Maria Elena Boschi nelle liste del PD perché rappresenterebbe un possibile danno d’immagine per il partito – dopo l’editoriale del direttore oggi il quotidiano parla delle tessere del partito scese sotto le 90mila, e dà risalto alla denuncia di Lotti che dice che il partito, così, “non ce la può fare”- sposando quindi la tesi che la politica è “opportunismo” e non chiarezza.
E’ curioso: si condanna il candidare qualcuno affinché siano gli elettori a giudicare l’opportunità di avere quel qualcuno in parlamento, ma si spinge a non candidare quel qualcuno per opportunità politica. C’è qualcosa che non ci torna. In un altro articolo abbiamo scritto come la presenza o no di Boschi in parlamento e le sue fortune o sfortune personali o politiche non siano qualcosa che ci toglie il sonno; troviamo un po’ infantile la frase che Boschi utilizza continuamente in questo momento delicato, ci riferiamo al fatto di essere attaccata “in quanto donna”, ma ci sono 44 miliardi di euro che si sono volatilizzati sui quali occorre fare chiarezza estrema, e al direttore di Repubblica importa soffermarsi sull’opportunità politica di candidare Maria Elena Boschi mentre, in soldoni, definisce un autogol la commissione sulle banche. Ma stiamo scherzando?
(22 dicembre 2017)
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