di Mila Mercadante, twitter@Mila56170236 #Politica
Alcuni media spagnoli il 31 ottobre hanno diffuso la notizia che Puigdemont avesse lasciato Bruxelles per tornare a Barcellona con alcuni ministri e collaboratori in vista della convocazione da parte dei giudici per un interrogatorio. Puigdemont in realtà non ha preso nessun aereo e non è tornato a casa. Aveva chiesto garanzie che evidentemente non gli sono state concesse.
Il leader indipendentista ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di chiedere asilo politico a Bruxelles. Certo che no, e non si tratta di una dichiarazione eroica: Bruxelles ha già garantito appoggio al governo spagnolo fino alle elezioni di dicembre prossimo, e poi il Belgio è notoriamente avaro nel concedere asilo politico e molto difficilmente farebbe un’eccezione per Puigdemont. Allora perché scegliere Bruxelles? Per internazionalizzare la questione catalana, per esempio, per coinvolgere in un modo o nell’altro la UE. Anche solo dal punto di vista mediatico, trovarsi lì dove si trova la sede dell’unione europea ha un suo perché. La motivazione pratica della molto disonorevole fuga in Belgio è senza dubbio più importante: Il Belgio non accetta quasi mai le richieste di estradizione, dunque se Rajoy dovesse reclamare il rientro di Puigdemont dovrebbe desistere di fronte a norme chiare a tutti.
Le élites europee – con il sostegno delle élites globali – si sono fino a oggi servite dei governi compiacenti dei paesi membri deboli (Spagna, Italia, Grecia, Portogallo) per perseguire i propri scopi, scopi che si sono rivelati distruttivi dell’economia e delle condizioni di intere popolazioni. Sulle ragioni complesse che stanno a monte di tale risultato sorvolo perché l’argomento è un altro, ma mi riprometto di ritornarci presto. In Spagna i residui del franchismo non sono mai spariti, il che ha fatto molto comodo alla UE. Le élites del potere spagnole sono le stesse del passato, hanno medesime radici e per questo sono più che disposte ad appoggiare i diktat europei: austerità, privatizzazioni, indebolimento dello stato sociale e riforme costituzionali in chiave antidemocratica. Da noi lo ha fatto la sinistra, come in Grecia. Rajoy non è diverso da Tsipras e neanche da Renzi.
Chi ritiene che la spinta indipendentista in Catalogna sia determinata da questioni storiche non vuole vedere che la vera radice del problema sta nelle tasche delle persone. La spaventosa deflazione salariale in Spagna ha svalutato il lavoro del 35%, e a questo si aggiunge l’impossibilità del governo centrale di ottemperare alle richieste di Barcellona che da anni reclama più denaro. Le due cose insieme hanno innescato una bomba. I giovani catalani – che vivono in un luogo in cui il turismo porta ricchezza – pagano tasse da ricchi e guadagnano stipendi da poveri e si illudono, credono che smarcarsi dalla Spagna e presentarsi in seno alla UE come una piccola realtà di per sé prospera li faccia star meglio e favorisca una maggiore interazione con le istituzioni europee. Non è così, non lo è perché il bersaglio – La Spagna di Rajoy o di qualunque altro servitore al suo posto – è completamente sbagliato. Puigdemont è un europeista convinto, è uno di quelli che credono alle piccole patrie, e quindi non sfugge a uno strisciante equivoco di fondo: una forma di razzismo interno (noi siamo quelli che portano avanti la baracca in questo paese!, esattamente come i nostri leghisti) che esalta alla fine le peggiori istanze della finanza liberista. I separatisti sono i piccoli manager delle agenzie coloniali. Le piccole patrie all’ombra della crante Cermania? Quale risultato pratico può sortire la pretesa indipendentista se non un forte indebolimento sia dal punto di vista negoziale che internazionale? Cui prodest? Suvvia, non scherziamo.
Anche io detesto Rajoy ma sto dalla parte di un intero popolo, quello spagnolo senza distinzioni regionali, dunque non mi augurerei mai che la Spagna si rovinasse del tutto o che finisse in un bagno di sangue a causa di un irresponsabile cialtrone che non tiene nemmeno in conto i dati: la maggioranza dei catalani (75,6%) e degli spagnoli (57,4%) ha dichiarato di essere favorevole ad un referendum malgrado la Costituzione spagnola vieti ogni tentativo di spaccatura dell’unità, ma l’80% degli spagnoli e il 58,3% dei catalani ha dichiarato che avrebbe votato no all’indipendenza, contro il 33,5% dei catalani favorevoli. Il link di riferimento per questi dati è in calce. In realtà tutti vorrebbero che la Catalogna ottenesse risposte concrete alle proprie rivendicazioni ma pochissimi andrebbero oltre, pochissimi auspicherebbero una separazione. I catalani parlano con ragione di maggioranza silenziata.
(1 novembre 2017)
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