di Daniele Santi, twitter@gaiaitaliacom
In questo mondo in cui il sacro non esiste più perché è meno sacro del sacro, noi poveri umani ci diamo ad altri culti che vanno dal rettiliano a capo del mondo, all’angosciante movimentucolo di sgrammaticati che si fiondano sulle poltrone come babbuini sul cibo, al culto della propria persona che si purifica attraverso discutibili e carissimi corsi di rinuncia al sé. Oppure aderiamo alle chiese blasfeme che hanno come oggetto di culto device tecnologici di straordinariamente pregevole fattura, in vendita ad uno stipendio mensile più un paio di centinaia di euro, che vengono costruiti per un pubblico di fedelissimi clienti, assurti al ruolo di adepti.
A tale scopo sono necessarie costruzioni adeguate che magnifichino la grandezza della chiesa – i monoteismi sono stati grandiosi in questo e ne hanno edificato di bellissime – ed essendo noi ben oltre l’anno duemila, sposino quel misto di avveniristico ed angosciante che è parte irrinunciabile della nostra stessa essenza di esistenti post-millenium – nel caso specifico un teatro rotondo intitolato ad un fondatore scomparso. A cosa serve l’edificio? A perpetuare un mito ed a fare in modo che, rinnovandolo in dirette video e streaming e replicandolo grazie a quei mezzi, quel mito, i fruitori dei costosi device di cui sopra rinnovino il loro legame spirituale con oggetto, evento e fondatore, e quindi con la casa madre, così da non peggiorare i conti miliardari dell’azienda che ha più liquidità della Federal Reserve. Se poi la nuova chiesa è a forma di disco volante ed un aspetto futuribile siamo a posto.
In fin dei conti, qualsiasi chiesa lo insegna, è sempre e solo una questione di soldi.
(13 settembre 2017)
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