di Vittorio Lussana twitter@vittoriolussana
Dispiace notare come continui a esistere, in Italia, una piccola borghesia arruffona e ignorante, che ha volutamente espresso, seppur pacatamente, alcune considerazioni piuttosto provinciali in merito alla scomparsa di Dario Fo e a ciò che questo splendido artista ha saputo rappresentare nella storia della cultura italiana. Una sorta di fastidio ‘fascistoide’ nei confronti di un magnifico attore, che in realtà nasce da un’antica incomprensione che molti nutrono nei confronti di alcune ‘sanissime’ tradizioni popolari e libertarie dell’Italia settentrionale. Un’antica ‘radice anarchica’ che è sempre esistita, sin dal medioevo. Non è affatto vero che l’Italia, per lunghi secoli, sia stata totalmente priva di una propria cultura popolare o di ogni ideale d’identità nazionale. Quella identità che sarebbe poi sopraggiunta solamente con l’avvento di Benito Mussolini, il quale, invece, grazie al suo ‘imperialismo straccione’ non solo ci ha trascinati in un conflitto bellico disastroso, ma ha finito col ‘fagocitare’, tramite il fascismo, proprio le correnti più vivaci della cultura nazionalista italiana: quella di Gioacchino Volpe, di Giovanni Gentile e dello stesso Gabriele D’Annunzio. Purtroppo, un certo opportunismo ‘spicciolo’ ha sempre dominato la maggior parte degli ambienti politico-intellettuali di questo Paese. Ambiti cinicamente inariditi dalla loro stessa ‘doppiezza’ morale. Una falsità che non conduce solamente alla più assoluta ignoranza intorno al punto d’origine della cultura satirica italiana, quella del ‘giullare’ di corte che, ridendo e scherzando, trova il coraggio di prendere per i ‘fondelli’ la monarchia assoluta e un clero vile e ‘pasticcione’, ma che trascina da sempre i propri figli verso il vuoto dell’irrazionalismo più astratto, condito con atteggiamenti antropologici di supponenza che sarebbero, quelli sì, da ‘scaraventare’ giù da una finestra (il riferimento all’anarchico Pinelli è totalmente voluto, ndr). Ebbene sì: Dario Fo aderì alla Repubblica sociale italiana; e, in second’ordine: sì, egli apparteneva a quella corrente di intellettuali sotto ‘due bandiere’ che ha sempre cercato, a destra come a sinistra, un percorso rivoluzionario che conducesse il popolo italiano ad affrancarsi dalla schiavitù del lavoro e della miseria obbligatoria. Uno strano ‘filone carsico’ che contempla nomi niente affatto di poco conto, come quelli dello storico Delio Cantimori e molti altri, costretti dal ‘disastro mussoliniano’ a riparare sotto l’ombrello dell’hegelismo di sinistra pur di difendere la loro stessa coerenza ‘hegeliana’. Perché nel Paese della dissimulazione, le scelte apparentemente più incoerenti nascondono, in realtà, proprio la coerenza più autentica e profonda. “Solo i cretini non cambiano idea”, disse una volta Bettino Craxi, con piena consapevolezza culturale, prim’ancora che politica. A dimostrazione di come il prolungarsi di un’incomprensibile polemica sui ‘voltagabbana’ abbia finito con l’impoverire questo Paese di apporti politico-intellettuali notevoli e preziosi. Contributi intorno ai quali varrebbe la pena di riaprire una riflessione, in una prospettiva assai meno moralistica e molto più concettuale.
(19 ottobre 2016)
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