di Mila Mercadante twitter@mila56170236
La connessione perenne è un’attività che comporta un tale dispendio di energie intellettuali e fisiche da meritarsi a pieno titolo una copertura totale sulla salute da parte dello Stato. Bisogna avere memoria, prontezza di riflessi, forza istrionica, una vista eccezionale, capacità di organizzazione e capacità di gestire con distacco più situazioni contemporaneamente. In una condizione simile come si può fare a meno di gocce calmanti, gocce eccitanti, gocce per gli occhi irritati, pomate antidolorifiche per collo polsi e schiena, vitamine e integratori? Si può scherzare sull’abitudine delle persone di camminare e mangiare e parlare standosene sempre con la testa china su uno smartphone, oggetto di culto che i nostri spiriti li forma, li riforma, li informa, li rovina o li salva: dipende. Si può scherzare sul fatto che milioni di individui dormano con lo smartphone in carica sul comodino e che al risveglio – ancora con gli occhi semichiusi – lo consultino freneticamente, ogni volta come se fosse il day after di un miracolo o di una catastrofe. Si può scherzare anche sulla disperazione che una batteria scarica può provocare: non poter contattare subito gli amici i parenti e gli innamorati, non sapere in tempo reale quel che si dice e quel che succede provoca spaesamento, un senso di abbandono come se il mondo se ne fosse andato portandosi via la tetta, la balia e l’affetto.
Non si può scherzare invece sui soggetti a rischio, sui più fragili, su coloro che nella rete sprofondano a tal punto da non riuscire più a offrire tempo e attenzioni a nessuno perché non possono spegnere l’aggeggio neanche per la durata di una passeggiata: il tempo della non-connessione per il cyber-addict è fatto di frammenti piccolissimi. Per loro non si tratta di un gioco e neanche di un passatempo a cui dare la giusta dimensione: si tratta di aspirare all’identità, di condividere per esistere, di mantenersi in equilibrio sulla terra attraverso quella grande mamma di bagliori fluorescenti di fronte alla quale qualunque vuoto si colma, e qualunque noia, contrattempo o tragedia si può dimenticare. I nativi digitali non hanno idea del tempo in cui la televisione era il massimo del virtuale, non sanno che prima della rivoluzione internettiana le giornate erano più fruttuose perché duravano il doppio e anche il triplo. E’ per questo che non hanno dubbi né paura, è per questo che vanno avanti e basta ed è per questo che proprio a loro può succedere di rimanerci invischiati, di non riuscire più a fare entrare le emozioni dentro alla vita.
Non c’è molta differenza tra le tossicomanie e i disturbi dovuti alla dipendenza patologica da internet. I sintomi da social network addiction, chat addiction e cybersex addiction sono gli stessi: eccitazione, emicrania, stanchezza estrema, astinenza, disturbi del ritmo sonno-veglia, isolamento, negazione del problema, mitomania, fenomeni di derealizzazione, senso di onnipotenza. Esattamente come l’alcolizzato deve poter bere, il cyber-addict senza lo smartphone e il pc diventa irascibile, si agita, prova spiacevoli sensazioni di ansia, perde lucidità, diventa incapace di empatia e percepisce gli altri intorno a sé come un ostacolo al benessere.
Era così che si sentiva quella diciassettenne che ha sparato alla madre perché le aveva proibito l’uso del pc e del telefonino? Chi può dirlo? Forse sì. Forse soffriva la privazione come un’amputazione, forse si sentiva come un animale costretto alla cattività. Durante gli interrogatori per oltre quattro mesi si è difesa con freddezza, prigioniera di un artificio che le ha impedito non soltanto di provare pietà o amore, ma anche di oltrepassare il mito, quel ponte che unisce la realtà e la costruzione fantastica, onirica. I casi isolati, come tutto ciò che è estremo, fanno luce. Quella ragazzina accende un faro sul senso di estraneità che la realtà virtuale può sviluppare negli adolescenti. Prevenire l’effetto narcotico della tecnologia significa per gli adulti assumersi il dovere di insegnare ai piccoli a fare la distinzione fra la dimensione etica e quella estetica di internet, e significa indirizzare al meglio la loro carica emotiva, tutelandoli per evitare l’abuso del mezzo, aiutandoli a sviluppare il loro grado di consapevolezza. E’ molto faticoso esercitare autorevolezza e non autorità, vigilare sugli adolescenti senza assumere il comodo ruolo di poliziotti e di castigatori, ed è quasi impossibile risultare credibili se si parla con loro tenendo sempre lo smartphone in mano, anche a tavola.
(31 ottobre 2015)
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