Inauguriamo da questa settimana un altro appuntamento fisso. Si tratta della rubrica “La Settimana di Jorge Alberto” curata dal nostro amico e collaboratore, il giornalista peruviano Jorge Alberto Chavez Reyes, attivista per i diritti LGBT, fondatore del MHOL, figura di primo piano nella lotta per il riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali in Perù che, da Lima dove risiede, ogni settimana racconterà quello che è il suo punto di vista su alcuni dei punti nevralgici della cultura gay & lesbica visti dal punto di vista sociale. Se troverete alcuni riferimenti troppo spiccatamente legati alla cultura peruviana, ebbene scoprirete che i punti in comune tra la realtà di quel paese e quella italiana sono molti di più di quelli che potreste (e avremmo potuto) immaginare. Benvenuto a Jorge Alberto anche in versione italiana (lo potete leggere nella sua lingua originale su Gaiaespaña.com).
Ecco l ‘articolo di questa settimana.
di Jorge Alberto Chavez Reyes
La relazione tra i maschi omosessuali e la “mascolinità” è complessa. Alcuni la rifiutano totalmente, si appropriano del “femminile” e performano questa femminilità in modi e su piani differenti. Una scelta che nella maggior parte delle società, e in Perù in particolare, costa moltissimo sul piano personale.
Le ragioni di questo rifiuto del maschile sono molte e differenti. Lasciando da parte quelle che hanno a che fare con l’identità di genere che merita un discorso a parte, spesso si tratta di un rifiuto simbolico de “l’Oppressore”, si rifiuta il padre e a volte i fratelli, così come l’incarnazione del “maschio”, cioè la mascolinità egemonica che aggredisce ed è violenta. Di fatto molti gay (anche se non rifiutano il “maschile”) hanno spesso una relazione ambigua con la figura paterna e molti preferiscono non usare il suo cognome.
Può anche succedere che assumano modi femminili (o la versione che l’ambiente omosessuale impone come femminilità funzionale alla ricerca di un partner sessuale), una volta che comincia la loro frequentazione di locali gay. Spesso i modi femminili hanno a che vedere con il ruolo sessuale preferito. Alcuni, motivati dallo spirito queer, assumono ruoli di genere fluidi che prevedono combinazioni di comportamenti maschili e femminili.
D’altro canto ci sono maschi omosessuali che non rifiutano la mascolinità, al contrario la convertono nel modello da seguire arrivando a portare a compimento performnaces di ipermascolinità centrate, soprattutto, anche se non soltanto, in un corpo muscoloso, un’attitudine rude, uniti ad un rifiuto inflessibile e spesso aggressivo di tutto ciò che viene percepito come effeminato.
Questa attitudine, che può farsi risalire ai tempi di Tom of Finland, ha avuto il suo evento scatenante nella crisi dell’AIDS che spinse gli omosessuali maschi verso la ricerca di un aspetto che concorresse a “vederli sani”. A questo proposito Emre Busse e Selin Davasse, autori del documentario “Hyper Masculinity On The Dance Floor” , affermano in una intervista a Playground: “Nella storia omosessuale, la ipermascolinità ha le sue ragioni di esistere. Se guardiamo agli inizi degli anni ’80, la ipermascolinità nacque parallelamente allo stigma dell’AIDS. I maschi omosessuali volevano apparire sani. L’essere effffeminati veniva associato alla debolezza causata dall’HIV, all’essere stati infettati (…) la ragione è logica ed ha a che vedere con la salute, oltre che con la sicurezza e l’insicurezza”. Il documentario di Busse & Davasse indaga il significato socioculturale dei corpi e degli atteggiamenti ipermascolini nella comunità gay di Berlino.
Attualmente possiamo affermare che l’ipermascolinità gay ha a che fare col mostrarsi forti e dominanti, col sentirsi liberi (e senza “piume”) senza difficoltà e con atteggiamento da predatori in questioni di sesso, anche se l’attitudine “da troia” rimane qualcosa che viene assegnato (con evidenti implicazioni “machiste” e patriarcali) ai gay più effeminati.
Ma cosa c’è dietro l’esibizione di un corpo muscoloso nell’ambiente gay? Ci sono molte cose. Da un lato il corpo si usa come una specie di scudo contro l’omofobia appellandosi al senso comune [sic, ndt] che vuole che un uomo forte, muscoloso, peloso e molto maschio non possa essere “frocio”. D’altronde spesso lo scudo ipermascolino è una manifestazione di omofobia interiorizzata che si impossessa di valori eteropatriarcali. Per alcuni gay può trattarsi di un gioco cosciente con gli stereotipi, o semplicemente un scelta estetica. Al contrario, per altri la mascolinità è una questione di determinismo biologico e perseguono un ideale maschile tradizionale, quello che nasce dal patriarcato e dall’eteronormatività, riuscendo nel compito che si sono imposti – paradossalmente – persino meglio di molti maschi eterosessuali. Lo fanno così bene da essere disposti ad assumersi le conseguenze, come bloccare le loro espressioni di affetto e la capacità di sentire ed esprimere emozioni.
Essere affettuosi, il romanticismo, la cura dell’altro sono attributi “femminili” che sono rifiutati/bloccati, impedendosi così la possibilità di costruire relazioni di coppia.
Per tirare le somme della questione, molto profonda e complessa, la relazione tra i maschi gay e la mascolinità risulta essere un paradosso. Coloro che si sforzano di più per essere maschi sono gli omosessuali e non gli eterosessuali. Questo dimostra che la mascolinità è qualcosa che si impara, che si mette in atto, non è qualcosa di “naturale” e necessariamente relazionato con l’eterosessualità, cosa che mette in discussione uno dei pilastri del patriarcato.
D’altro canto sembrerebbe proprio che gli ultimi rimasugli del maschilismo e della misoginia stiano proprio all’interno di certa cultura gay.
(25 agosto 2015)
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