di Alessandro Paesano twitter@ale_paesano
Ingrid e Lorenza sono due giovani donne.
Si amano. Stanno insieme.
Decidono di sposarsi.
In Svezia. Ingrid proviene da là.
Aprono un videoblog che si chiama lei disse sì nel quale raccontano i mesi che precedono il matrimonio, la sua organizzazione, i sopralluoghi, le amicizie e gli affetti che le sostengono.
Ospitando anche una pagina nella quale raccontare delle altre coppie dello stesso sesso, maschili e femminili, che sono costrette ad andare all’estero per sposarsi perché i matrimoni tra persone dello stesso sesso in Italia non sono consentiti.
Il videoblog ha successo, Donna di Repubblica offre loro lo spazio per il blog 2d (2 donne) dove parlare di modern family (l’inglese è d’obbligo anche per un paese che non lo parla…)
Lorenza e Ingrid hanno in mente di fare un film sul loro matrimonio. Decidono di organizzare un crowdfunding, una ricerca di finanziamenti su internet, raggiungendo in tre mesi i 10 mila euro che hanno richiesto come budget per fare il film.
Nasce così Lei disse sì, il videodoc per la regia di Maria Pecchioli il cui sottotitolo è la rivoluzione a colpi di bouquets [sic] è appena iniziata che riprende alcuni materiali del videoblog e si concentra sul viaggio di Lorenza, Ingrid e relatives alla volta della Svezia.
Lei disse sì si sviluppa in 67 minuti (ne sarebbero bastati 10 di meno) concentrandosi sugli aspetti organizzativi del matrimonio, i sopralluoghi, il menù per il banchetto di nozze, i vestiti delle spose, l’annuncio fatto ad amici e familiari.
Con un occhio amico che sa inserirsi nella compagine familiare e amicale senza essere percepito come un intruso Pecchioli sa cogliere le intermittenze del cuore di una coppia di donne che si ama.
Lorenza e Ingrid sono belle, giovani, talmente innamorate da assomigliarsi anche fisicamente (se Lorenza non portasse gli occhiali si farebbe fatica a distinguerle).
Senza poderose dimostrazioni fisiche di attrazione sessuale (come sarebbe accaduto in un film di maschietti) Lorenza e Ingrid si amano, si baciano, dormono insieme, con la stessa banalità delle coppie di sesso diverso.
La banalità quotidiana di chi si sposa, dove banalità non significa naturalmente scarsa importanza, ma condivisione, uguali problematiche ed emozioni, il film (di)mostrando la natura squisitamente normale della vita di due donne che si sposano che è la stessa identica di quella di un uomo e una donna.
Pecchioli è molto brava nel maneggiare un materiale che, almeno apparentemente, ricorda quello dei filmini matrimoniali e assemblarlo in un discorso di testimonianza a sostegno di tutte le coppie italiane dello stesso sesso che vogliono sposarsi e per farlo devono andare all’estero, per mostrare ai detrattori e alle detrattrici del matrimonio egualitario l’assoluta parità di un istituto sociale che da questo documentario esce rinnovato, riaffermato, come commenta una amica di famiglia agée nel videodoc, o come commentano alcune donne accorse numerosissime (qualcuna non è riuscita a entrare in sala) alla proiezione romana organizzata dal festival Biografilm dove il videodoc ha vinto il primo premio con la seguente motivazione:
«Il primo premio della giuria va a Lei disse sì di Maria Pecchioli perché con uno stile pieno di grazia e semplicità racconta un gesto d’amore che solo una società impaurita può rendere rivoluzionario. La sincerità nuda dei sentimenti unita alla forza politica di questo atto di gioia sono racchiusi in un film che arriva senza mediazioni al cuore dello spettatore».
Grazie a questo festival alcuni videodoc escono in sala come succedeva una volta, quando i film erano in pellicola e la tv era in bianco e nero.
Purtroppo per restare in sala i film documentari hanno bisogno della determinazione del pubblico che li richiede con insistenza e li pretende.
Perché, a quanto pare, nemmeno la vittoria di un festival garantisce la tenuta in sala (scaricando la responsabilità agli esercenti, perché la distribuzione italiana è sempre più latitante?).
Se volete vedere Lei disse sì la pagina facebook vi terrà al passo col nutrito calendario di proiezioni per tutto lo stivale.
Molti i momenti memorabili nel film.
Il brindisi del padre di Lorenza che commenta che il matrimonio di sua figlia con un’altra donna è anche il segno tangibile di una conquista femminile, l’aggettivo è suo, per tutte le donne, al di là del loro orientamento sessuale.
Il commento di molti amici e molte amiche della coppia, giovani, con prole, in coppie dello stesso sesso e non; il racconto improvviso di Ingrid che colpisce per la sincerità e l’immediatezza che ci informa che non vede la famiglia da 15 anni da quanto il fratello le ha fatto outing (Ingrid è l’unica a usare questa parola nella sua corretta accezione) informando cioè i genitori (madre italiana, padre svedese) della omosessualità della sorella a sua insaputa e contro la sua volontà.
Così l’assenza dei genitori di Ingrid nonostante il matrimonio sia a casa loro, vicino ai luoghi di infanzia dove Ingrid è cresciuta, rende il senso più vero e intimo del concetto di famiglia nella quale il legame biologico, da solo, non è garanzia di accoglienza e inclusione, di rispetto e di amore.
Un videodoc sorprendente perché attraverso un montaggio e uno stile assolutamente naturalisti (nel senso che l’organizzazione narrativa sembra quella casuale ed erratica di un filmino amatoriale) riesce a organizzare un discorso squisitamente politico (nel senso più vero della parola di vita nella città) con un occhio attentissimo ai dettagli (l’occhio colmo di lacrime di un’amica quando Ingrid si commuove durante il discorso al banchetto di nozze; la reazione del e della nipote il cui sguardo d’infanzia è disarmante per la lucida semplicità con cui guardano le cose perché zia non potete sposarvi? Già serva Italia, di dolore ostello, perché non permetti a due tue cittadine di sposarsi?).
Uno sguardo non ideologico e privo di propaganda che mostra e non dimostra l’assoluta quotidianità di un amore e di un legame che le frange più reazionarie del paese vorrebbero una minaccia per la famiglia normale (quale? Quella di Ingrid?).
Un film da vedere e sostenere.
Adesso, se questo articolo fosse una semplice recensione finirebbe sicuramente qui.
Ma dato il nome della rubrica in cui viene pubblicato non può fermarsi alla superficie delle cose. Lei disse sì infatti è anche un ghiottissimo e altrettanto interessante laboratorio antropologico che tasta il polso al paese a saperlo leggere nel modo in cui ritrae la vita di due giovani donne che si amano e si sono sposate, e dei commenti che loro e le loro amicizie fanno sul tema del matrimonio e più in generale sulla vita delle persone non etero.
Naturalmente, cave canem, non stiamo parlando di Lorenza e Ingrid della vita reale, ma delle due donne personaggio così come sono descritte e rappresentate nel videodoc.
Il privato
Il docufilm si concentra sull’aspetto privato del matrimonio di Lorenza e Ingrid, cioè sulla famiglia, anche se intesa nel senso allargato degli affetti familiari, amicizie e conoscenze comprese.
Manca l’aspetto pubblico delle due giovani spose, il documentario nulla dicendoci sulla loro professione (che possiamo leggere nel pressbook del film) e sulle vite che conducono (amano il cinema? Escono la sera? Che lavoro fanno? Frequentano le amicizie in casa o anche in luoghi pubblici?).
Abbiamo chiesto dopo la proiezione il perché di questa caratteristica. Ci è stato risposto che non si è trattato di una scelta e che mostrare il privato di un matrimonio è di per sé un atto politico.
Questa omissione, proprio perché involontaria e inconscia, segna il portato del vissuto delle due protagoniste e della regista che le ha seguite. Nulla ci à dato sapere della reazione delle persone che si incontrano nel quotidiano della propria vita riguardo il loro essere una coppia di future spose.
Sembrerebbe quasi che il privato di Lorenza e Ingrid sia tale e debba rimanere tale, allineandosi a quella malcelata mal sopportazione di chi vede nelle manifestazioni pubbliche di omaffettività un’ostentazione che per le coppie di sesso diverso non viene invece percepita tale.
L’omofobia interiorizzata
A corroborare questa nostra lettura interpretante è un momento del documentario nel quale Lorenza si confessa alla videocamera dicendo, mentre è in Svezia per i sopralluoghi mesi prima del matrimonio, che si è sorpresa a parlare con gente estranea del suo matrimonio con Ingrid e che per tutte le persone con cui ne parlava era un fatto normale.
E poi aggiunte che lei in Italia quando le chiedono se è fidanzata risponde di no oppure dice di si omettendo che si tratti di una ragazza.
Una scelta giustificata dall’omofobia strisciante del nostro paese o un eccesso di cautela da parte di una giovane ragazza laureata in scienze della formazione?
Anche quando ci si decide a mettersi in gioco e a nudo offrendo al pubblico un momento della propria intimità come il matrimonio e le relazioni amorose ci si attesta sempre a una sorta di omertà, di omissione degli aspetti pubblici del proprio privato.
Il matrimonio egualitario
Perché il matrimonio è tutt’altro che qualcosa di privato. Non solo per via delle pubblicazioni (che nel videodoc non vengono proprio prese in considerazione) ma perché atto precipuo del matrimoni è informare la società e l’universo mondo che quelle due persone sono una coppia e che in quanto coppia contribuiscono alla vita sociale della comunità e a far progredire il mondo.
Questa percezione parziale del portato sociale (e antropologico) ma anche etico e politco del matrimonio che viene relegato erroneamente alla sfera privata è sostenuta e amplificata dalle dichiarazioni di alcune persone amiche delle spose la cui opinione viene data al pubblico senza una contro argomentazione diventando l’opinione ufficiale del video: il matrimonio è un istituto borghese, è una cerimonia conservatrice e tutte le persone non etero che chiedono di potersi sposare si stanno imborghesendo.
Un’argomentazione, fatta da sinistra e a sinistra, curiosa essendo essa stessa una considerazione borghese, perché coglie solamente l’aspetto privato del matrimonio, simbolizzato dal bouquet lanciato dalla sposa (e stavolta nel film ce ne sono due…) tralasciando il portato etico politico e antropologico di due persone che dicono al mondo intero noi stiamo insieme e agiamo nel mondo come coppia.
Certo è anche vero che questi matrimoni all’estero costano ancora di più di un matrimonio in Italia e che dunque, sicuramente, come censo, questo è un matrimonio borghese, di chi, cioè, può economicamente permetterselo.
Sull’aspetto concreto della componente borghese del matrimonio, il denaro, il documentario tace, di nuovo con una certa omertà…
Ancora confusione tra orientamento e identità di genere
C’è un’altra affermazione Lorenza che colpisce per la sua naiveté e per l’ambiguità di fondo con cui è vissuto il sottile argomento che affronta.
Lorenza racconta che sin da piccola aveva capito che le piacevano le ragazze. Infatti, dice, giocavo a pallone e portavo i capelli corti. Non era proprio una questione di identità di genere però ero una bambina non come le altre.
Nonostante gli sforzi dei gender studies, del femminismo e del movimento lesbico ancora nel 2014, anche per una donna colta, di classe sociale medio-alta e lesbica, lo stereotipo che fa confusione tra identità di genere e orientamento sessuale è praticamente ancora intatto. Se ti piacciono le ragazze non c’è da meravigliarsi se giochi a pallone o porti i capelli corti…
L’immaginario collettivo che usiamo ancora tutte e tutti è evidentemente quello patriarcale, maschilista e omolesbofobo che fa percepire una lesbica come un maschio mancato anche alla donna lesbica stessa.
In barba a tutte le donne, anche etero, che da certi stereotipi di genere proprio non si sentono rappresentate.
Suo malgrado Lei disse di sì registra lo stato di salute del Paese facendosi testimonianza che c’è ancora molto da fare in Italia e che il privilegio economico, così come quello culturale, insomma la vecchia questione della classe sociale, non è più, se mai lo è stato, garanzia di una visione del mondo davvero più aperta.
Forse si tratta di una questione generazionale.
Non a caso nel film l’unico a rimarcare la componente femminista (lui dice femminile) del lesbismo è un uomo, il padre di Lorenza, un dentista che, ci ha detto Ingrid privatamente, raccontava a tutti i suoi clienti del matrimonio della figlia con una donna.
I genitori di Lorenza (ancora profondamente innamorati, lo si capisce dal loro linguaggio del corpo) sembrano essere insomma avanti anni luce rispetto la figlia anche sulle questioni che la riguardano più da vicino.
E anche questo vuol dire famiglia!
(5 novembre 2014)
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