di Alessandro Paesano twitter@Ale_Paesano
Quando i militari americani volevano arrestare i quattro dirottatori dell’Achille Lauro, mentre erano a bordo di un aereo egiziano costretto ad atterrare alla base Nato di Sigonella (Sicilia), Craxi non esitò nel far rispettare la sovranità nazionale, facendo circondare l’aereo da uno schieramento di VAM e di Carabinieri, mentre altri Carabinieri circondavano lo schieramento di militari statunitensi che minacciavano la prima schiera di difesa italiana.
La sovranità nazionale dovrebbe essere fatta rispettare senza esitazioni sempre e in ogni caso, anche quando un regista statunitense con soldi europei (italiani, francesi e belgi) pretende di insegnare all’Italia chi era Pasolini e cosa gli è successo la notte che venne brutalmente ucciso (il cuore esploso in seguito a una automobile che gli passava sopra).
Purtroppo la stampa italiana, la critica, il popolo tutto non hanno brandito alcun mitra metaforico per difendere quel patrimonio artistico culturale e morale che Pasolini rappresenta ancora per il Paese, un patrimonio miseramente violato da un film privo di qualunque cultura tanto da offendere Roma peggio del sacco dei lanzichenecchi.
L’arroganza artistica di Ferrara è seconda solo alla pochezza del film che è imbarazzante a partire dalla qualità tecnica della sua realizzazione: pessimo sonoro, dialoghi inesistenti, mancanza di una lingua ufficiale parlata nel film (Italiano? Inglese? Defoe alterna le due lingue parlando con gli stessi personaggi senza alcun criterio narrativo); pessimo accetto italiano degli attori non italiani (Defoe non ci ha nemmeno provato a parlare un italiano credibile); inesistente accento inglese di Mastandrea (talmente ridicolo da sembrare una parodia) e di Scamarcio (che Ferrara deve odiare se lo inquadra mettendo in evidenza ogni singola zampa di gallina del suo contorno occhi) mentre con quella ridicola parrucca bionda Maria Medeiros è più affine a Irina Skassalkazaja di Marcello Cesena che a Laura Betti.
Quel che fa tremare i polsi è vedere come vengono spesi male i soldi europei per un film la cui sceneggiatura è dell’italianissimo Maurizio Braucci (Gomorra) su soggetto di Abel Ferrara e Nicola Tranquillino (autore di qualche documentario), che si gingilla con le seicento multiple prese in affitto e con le riprese artistiche dell’Eur ultimo quartiere in cui ha abitato Pasolini ma poi sposta il punto in cui Pasolini rimorchiò Pelosi dal bar in largo Peretti, a piazza dei Cinquecento dove avvenne in realtà con un bar in via Giolitti.
Un film del tutto incapace di considerare il portato artistico, politico, storico e antropologico di Pasolini e dell’epoca in cui è vissuto e che ci intrattiene sull’ultimo Pasolini, quello del romanzo inedito Petrolio, del progettato film Porno-Teo-Kolossal e li mette in scena, con gusto felliniano, avellendoli da ogni contesto storico culturale e, soprattutto, dalla poetica pasoliniana.
Così le fellatio dell’appunto 55 di Petrolio il pratone della Casilina messe in scena senza alcun contesto, si impongono solamente per il sesso orale e il transfert dal personaggio all’autore è inevitabile, non importa che la voce fuori campo di Pasolini/Defoe dica quasi il contrario.
La messinscena di Teo-Porno Kolossal, si concentra sugli amplessi tra gay e lesbiche senza spiegare bene il capovolgimento tra norma etero e norma omosessuale come fa Pasolini nel soggetto del film, ma passando subito alla Festa della Fecondazione che mentre in Pasolini è burocratizzata con tanto di scheda simil-elettorale nel film di Ferarra è affine alla visione felliniana del femminismo de La città delle donne finendo per confermare i luoghi comuni sulle omosessualità secondo i quali, si sa, ai gay fa schifo la passera e alle lesbiche fa schifo l’uccello, invece di mettere in ridicolo l’eteronormatività borghese come voleva Pasolini.
I classici nani che salgono sulle spalle dei giganti, certamente, ma anche una visione dell’omosessualità degna dei nazisti che le persone omosessuali le mettevano nei campi di concentramento.
L’omicidio di Pasolini viene invece ridotto a una mera aggressione omofoba, in linea con l’opinione pubblica di allora che pensò era un frocio, se l’è cercata idea evidentemente transnazionale.
Siamo contrari a ogni forma di censura ma se pensiamo che L’ultimo tango a Parigi di Bertolucci fu condannato al rogo non riusciamo a trovare una condanna adeguata al massacro che questo film compie del cinema, della cultura e della memoria di Pierpaolo Pasolini.
Ci vorrebbe Craxi per rispedire questo film al mittente e ricordare agli Stati Uniti che l’Italia ha ancora una sovranità nazionale.
Ma Craxi è morto, Pasolini è morto ammazzato e anche chi vede questo film non esce dalla sala sentendosi tanto bene…
(1 ottobre 2014)
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Ma Craxi è morto, Pasolini è morto ammazzato e anche chi vede questo film non esce dalla sala sentendosi tanto bene…
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