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HomeNotizieLe "Storie" di Gianfranco Maccaferri: "Un ministro, un anziano monaco e... Asanka"

Le “Storie” di Gianfranco Maccaferri: “Un ministro, un anziano monaco e… Asanka”

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Gianfranco Maccaferri 02di Gianfranco Maccaferri  Twitter@gfm1803

Il lavoro in un paese profondamente diverso da quello dove si è abituati a vivere è spesso faticoso psicologicamente, si impiega molto tempo a capire o perlomeno a percepire quali sono le abitudini, i riti quotidiani, i tempi, le attenzioni necessarie…

Se il lavoro è a stretto contatto con i politici del luogo, a volte tutto può assume aspetti surreali, inaspettati e alcune situazioni possono diventare a tratti talmente grottesche che ti senti davvero inadatto, inetto, inadeguato… o più “navigato” di loro.

Ero nel sud est asiatico e un giorno un politico mi propose di andare con lui in un luogo di meditazione per rilassarci così da avere la serenità utile per affrontare le problematiche che dovevamo risolvere.

Ero molto perplesso sulla proposta e capii che il politico, non essendo soddisfatto delle mie scelte, tentava una strada alternativa per farmi accettare almeno in parte le sue esigenze politico-personali.

Il problema era che, non esistendo una metodologia tipo “gara d’appalto” per l’affidamento dei lavori per la costruzione di una importante struttura a valenza sociale, io volevo comunque richiedere almeno tre preventivi in modo da scegliere la ditta economicamente più vantaggiosa, mentre il politico tendeva ad imporre e ad affidare i lavori ad aziende di sua fiducia senza neppure richiedere un preventivo alle stesse. Effettivamente, non trovando un punto d’accordo, la trattativa era ferma; ma io avevo l’esigenza di partire con i lavori urgentemente e così accettai la proposta della gita fuori città.

Nel pomeriggio partimmo in auto, ovviamente scortati, per raggiungere il luogo da lui scelto. Era un lago alle cui sponde non c’erano case, alberghi… nulla di costruito dall’uomo, solo natura. Alla fine di una strettissima strada sterrata che ci condusse direttamente alla riva del lago, scendemmo dalla macchina e ci incamminammo su un pontile di legno che collegava un isolotto sul quale intravidi piccole costruzioni. Due ragazzi, vestiti solo con il sarong, ci accolsero e ci introdussero all’interno della costruzione realizzata in legno e con i tetti ricoperti da enormi foglie di palma. Gli uomini della scorta non entrarono in quanto erano armati e così tornarono alla macchina, ma prima di salutarci presero in consegna la pistola che il ministro teneva infilata nella cintura.

Un anziano monaco venne a fare gli onori di casa, ci salutò cordialmente e ci disse che l’intera struttura era a nostra disposizione.

Il ministro si mise a parlare non in inglese con il monaco per cui io mi sentii totalmente escluso dal dialogo.

Il monaco, in inglese, gli rispose educatamente dicendo che sicuramente il luogo ci avrebbe aiutato a trovare la soluzione dei nostri problemi e che i due ragazzi erano a nostra disposizione: ci avrebbero accompagnati nelle camere e poi, solo per me era prevista una seduta di trattamenti di relax per il corpo e la mente, mentre per il ministro era prevista una di meditazione; ci saremmo rivisti tutti per la cena.

Prima di allontanarsi il monaco anziano mi disse che percepiva il mio non essere pronto per affrontare una discussione serena, non avevo la mente aperta per guardare le cose da tanti punti vista, ero chiuso nei miei pensieri. Era contento che il ministro mi avesse accompagnato lì, così poteva aiutarmi a trovare la serenità. Chiamò il ragazzo più giovane e gli disse che io avevo bisogno di un radicale massaggio fisico e mentale.

Il ragazzo mi fece cenno di seguirlo. Mi portò al limite dell’isolotto dove terminava la costruzione: una piccola camera con all’esterno un pergolato che faceva ombra ad un salottino costituito da due poltroncine e un tavolino. Il ragazzo sorridendo mi fece vedere l’interno della stanza dove c’erano solo due stuoie. Lo guardai forse un poco stupito e lui disse: “Questo è tutto ciò che è necessario”.

Chiesi per il bagno e mi fece notare che accanto alla stanza c’era un’altra porta, ma io non la aprii per evitare altri stupori e conseguenti imbarazzi. Il ragazzo, sempre sorridente, mi diede un sarong bianco e mi disse di indossarlo per poi andare a fare il trattamento di relax. Pensai che era fondamentale una doccia in quanto era dal mattino che sopportavo il caldo e l’umidità, ma quando glielo dissi la risposta fu: “Usiamo l’acqua del lago per lavarci.” Notai che si fece una risatina. Io dissi solo “ok” e iniziai a spogliarmi. Quando fui nudo lo guardai, lui aveva una espressione di stupore ma si voltò subito dall’altra parte. Mi tuffai nel lago e iniziai a nuotare: la sensazione dell’acqua, seppur tiepida, fu un toccasana per la mia chiarezza mentale e per l’esigenza di sentirmi pulito. Dopo pochi minuti tornai all’isolotto e risalii sulla costruzione, passai accanto al ragazzo che nel frattempo si era seduto su una delle poltroncine a guardarmi, presi il sarong e lo indossai. Ora ero pronto per fare il trattamento di relax.

Il ragazzo simpaticamente mi disse che trovava divertente l’avermi come ospite da accudire.

Ebbi la sensazione che nascondesse qualcosa, pensai che mi riteneva inadeguato alle situazioni che avrei dovuto affrontare o qualcosa di simile. Comunque lo seguii verso il fatidico trattamento di relax fisico e mentale.

Mi ritrovai così in una stanza con musica tradizionale dolce, dai ritmi lenti, simili a sussurri. Erano accese delle candele e dell’incenso in polvere bruciava su delle piccole braci. Arrivarono due uomini sui cinquanta anni, dai capelli rasati che, seppur vestiti solo con un sarong, percepii fossero dei monaci. Mi fecero spogliare e sdraiare su un asse di legno. Iniziarono prima a spalmarsi le loro mani con degli oli, poi mi chiesero di chiudere gli occhi. Sentii sul corpo gocciolarmi dell’olio tiepido e poi con le mani iniziarono il massaggio: le manipolazioni a quattro mani erano perfettamente sincronizzate, sembrava che quello che succedeva nella parte destra del mio corpo era perfettamente uguale a quello che percepivo nella parte sinistra. Dopo lungo tempo mi chiesero di girarmi e ripresero il massaggio sincronizzato. Quando smisero, io ero totalmente senza pensieri, senza idee, la mente era vuota.

Sentii sul mio corpo una nuova sensazione: avevano iniziato a strofinarmi delicatamente sul corpo dei sacchettini caldi contenenti erbe. Poi li posizionarono sul corpo, con grande attenzione nell’individuare dei punti specifici.

Non so quanto tempo passò prima di percepire che li stavano togliendo. A quel punto mi dissero che il trattamento che mi avevano fatto si chiama Pindasweda ma che era meglio rinforzare la pulizia della mente con un altro trattamento che chiamarono Shirodara. Posarono, al limite della panca dove ero sdraiato, un piccolo baldacchino di legno dal quale nel centro ed esattamente sopra la mia faccia, era incastrata una grande ciotola di ceramica. Mi chiesero di chiudere gli occhi nuovamente e iniziai a sentire un finissimo flusso costante di olio tiepido che mi cadeva sulla fronte, appena sopra le sopraciglia e anche in questo caso dopo pochi minuti persi la cognizione del tempo.

Non so quanto durò lo stato di totale rilassamento in cui la mente non lavorò, non pensò, non ebbe memoria.

Quando tornai ad avere pensieri, il primo fu verso il ragazzo che mi chiamò toccandomi una gamba. Con estrema calma mi rialzai e mi rimisi il sarong. Tornati alla mia camera, gli dissi che ero tutto unto e chiesi se era necessario stare con tutti quegli unguenti addosso? Rispose di sciacquarmi ma senza fare lo sforzo di nuotare. Mi ritrovai nuovamente nudo e m’immersi nel lago; per molti minuti rimasi a galleggiare tranquillo sino a quando vidi che anche il ragazzo si stava togliendo il sarong per tuffarsi. Una volta in acqua mi chiese se poteva pulirmi lui la pelle, sorridendo mi mostrò la spugna naturale che aveva in mano.

Accettai…

All’ora di cena, il politico con l’anziano monaco ed io, ci ritrovammo comodamente seduti attorno ad un tavolo. I due ragazzi si preoccuparono di predisporre tutte le cibarie preparate: riso cotto in due modi differenti, lenticchie, fiori di banano, cipolle e peperoni, altre lenticchie con peperoncini. Per iniziare il pasto solo a me servirono un passato di erbe scurissimo e molto corposo dentro a una piccola scodella bianca. Il monaco mi disse: “Questo concentrato di erbe andrebbe bevuto a colazione, ma dopo il trattamento ayurvedico che ti hanno fatto i due monaci è necessario che prima di mangiare altro tu introduca questa crema vegetale nel corpo.”

Durante la cena furono poche le parole dette dal politico, mentre tra me e il monaco ci fu uno scambio di domande e risposte sulle reciproche curiosità. Il vecchietto non diceva mai banalità ma sembrava divertito dalle mie. Quando giunse il ragazzo giovane per portarci la papaya il monaco disse guardandomi: “Ho notato che sei in sintonia con questo ragazzo, prima vi ho visto divertirvi nel lago… non preoccuparti, ne sono felice. È così giovane e curioso che spesso mi domando perché rimanga qui con noi… se vuoi può venire con te ad aiutarti in questi giorni.”

Guardai il ragazzo che, essendo vicino, aveva sentito la proposta: era raggiante, il suo volto esprimeva stupore e gioia quasi incontenibile.

Allora dissi che per qualche giorno mi fermavo in città per portare avanti il lavoro con il ministro e quindi poteva essermi utile una persona che mi seguisse nelle varie riunioni e che nel tempo libero condividesse l’esplorare la vita e i divertimenti che offriva la città.

Il ragazzo si ritirò quasi correndo e tornò dopo pochi minuti tenendo tra le mani un magnifico fior di loto, s’inginocchio davanti all’anziano monaco, abbassò la testa e glielo offrì. Il monaco gli accarezzo la testa e lo ringraziò.

Corse nuovamente subito via per tornare dopo neppure un minuto e questa volta tra le mani aveva un mucchietto di foglie a forma di cuore, guardandomi negli occhi, con il viso serio, si inginocchio e me le offrì. Il monaco mi disse: “Non so cosa, ma deve farsi perdonare qualcosa da te… lo sapete solo voi due, ma se ti ha portato tutte queste foglie di betel il perdono che chiede è grande.”

Io rimasi confuso, da ciò che ricordavo il ragazzo non doveva farsi perdonare proprio nulla, avrei approfondito la questione in seguito.

Il politico, indicando le foglie di betel, propose di usarle subito in quanto ottime come digestivo. Prese due foglie e iniziò a spalmarci del catechu rosso, depose nel centro un pezzo di noce di areca e un poco di calce bianca, arrotolò le foglie formando un fagottino tipo pallina. Se lo mise in bocca e iniziò a masticare soddisfatto. Il Monaco declinò l’invito a prepararsene una mentre io ne confezionai una ma escludendo la noce di areca che è esageratamente amara.

Così finalmente iniziammo a parlare concretamente di lavoro e del progetto, dei problemi che comportava il realizzarlo: il monaco vedeva tutti gli aspetti positivi, il politico non faceva altro che elencarmi le aziende da lui conosciute che avrebbero fatto bene i lavori… ed io tentavo disperatamente di contenere le idee faraoniche per restare nel budget a mia disposizione e soprattutto di fissare delle regole condivise sulle modalità dei lavori da affidare.

Le ore passavano ma la confusione aumentava.

Constatai così che i trattamenti di relax e meditazione fatti nel pomeriggio erano serviti solo ad aumentare le già troppe idee e l’entusiasmo nel pensare alle possibili forme di realizzazione.

Quando tutta la discussione iniziò a annoiarmi, decisi di chiudere l’incontro costruttivamente ma in modo fermo.

Così ringraziai il ministro per il terreno concesso per la costruzione, chiarii che la progettazione definitiva era di mia responsabilità ed entro due mesi avrei messo a disposizione i disegni e i capitolati, accettai che il politico decidesse quali imprese avrebbero lavorato ma che era impossibile sforare i singoli capitoli di spesa da me determinati, chiesi al monaco di presentarmi velocemente un programma di utilizzo sociale degli spazi che sarebbero stati messi a disposizione.

Probabilmente i due non erano abituati a fare le sintesi delle discussioni e quindi rimasero stupiti di essere giunti a delle conclusioni operative, che soddisfacevano le esigenze di tutti, in un solo dopocena.

L’anziano monaco mi ringraziò per aver tenuto in così alta considerazione le opportunità socio-culturali che a lui premevano, mentre il politico era praticamente già al telefono per chiamare i proprietari delle aziende e promettere loro futuri lavori.

Io mi alzai e salutai entrambi lungamente. Al monaco dedicai parole di ringraziamento per il trattamento ayurvedico risultato determinante alla mia predisposizione verso l’ascolto e la sintesi finale di un accordo condiviso.

M la mia esigenza era di andarmene il più presto possibile in quanto stanchissimo e avevo ancora risolvere la questione del ragazzo che si doveva far perdonare non so cosa.

Lo trovai seduto su una delle poltroncine del salotto nel pergolato davanti alla mia camera. Appena mi vide scatto in piedi e subito dopo si sdraiò per terra, con la testa davanti ai miei piedi fece il gesto di baciarli. L’imbarazzo che provai fu enorme.

Lo ringrazia del gesto e gli dissi che avremmo almeno dovuto presentarci… il suo nome era Asanka.

Ci sedemmo sulle poltroncine e iniziammo a chiacchierare lungamente. Io ne approfittai per spiegare come lui poteva essermi utile nelle giornate future: mi avrebbe accompagnato a tutte le riunioni in modo tale che poi, quando saremmo stati da soli, mi avrebbe raccontato cosa avevano detto tra loro, non in inglese, le persone presenti. Ma non solo, anche durante le riunioni se io mi alzavo per uscire un attimo lui mi avrebbe dovuto seguire per spiegarmi quali erano le sue sensazioni sui comportamenti dei diversi partecipanti alla riunione.

Mi rispose che accettava volentieri il compito e che per ringraziarmi dell’opportunità di lavorare per me, finiti gli impegni che avremmo avuto giornalieri, mi avrebbe accompagnato in giro per divertirci insieme e per conoscere la città non da turista ma da residente.

A quel punto gli chiesi per quali motivi nel dopocena, in modo così plateale, mi aveva regalato le foglie di betel.

Imbarazzato e con evidente vergogna nel parlare, rispose che doveva scusarsi del comportamento avuto finito il mio trattamento ayurvedico: lui avrebbe dovuto lavarmi prima che io mi alzassi dalla panca, egoisticamente invece aveva preferito che tornassi alla camera in quanto era certo che poi mi sarei tuffato nel lago e così anche lui avrebbe potuto fare altrettanto. In pratica non aveva svolto il compito assegnatogli dai monaci e questo solo per realizzare un suo pensiero definibile “erotico”.

Scoppiai a ridere.

Altra questione di cui doveva scusarsi era di non avermi detto che nel lago vivono dei coccodrilli, molto bravi con l’uomo, ma sarebbe stato corretto avvisarmi prima che mi tuffassi. Mi disse che si doveva scusare perché era stato perfido in quanto sperava che, mentre io mi stavo facendo il bagno, almeno un coccodrillo si avvicinasse. Era curioso di vedere la mia reazione.

Smisi di ridere, di sorridere, di essere di buon umore. Lo guardai serio e probabilmente un po’ istericamente lo invitai ad entrare in camera per dormire… tanto c’erano due stuoie.

Quando mi svegliai Asanka era già uscito. Io non vedevo l’ora di alzarmi da quella impossibile stuoia per fare una passeggiata, per sgranchirmi le ossa doloranti da tanta rigidità e pensare tranquillamente a quanto successo e riordinare un poco le idee.

Passeggiando sul minuscolo isolotto vidi Asanka su una canoa appoggiato all’estremo di un pontile costruito a palafitta. Anche lui mi vide e attese che mi avvicinassi per salutarmi e spiegarmi che voleva pescare per prepararmi una buona colazione.

Se volevo potevo salire in canoa con lui.

Guardai attentamente la situazione: la canoa era strettissima, giusta solo per appoggiare il sedere, le gambe rimanevano all’esterno così i piedi fungevano da remi e le mani libere potevano quindi essere usate per la pesca.

Probabilmente si accorse della mia incertezza e titubanza data dal tipo d’imbarcazione, immaginò sicuramente che ciò che realmente mi preoccupava erano i piedi in acqua: “Non preoccuparti dei coccodrilli, sono animali amici, non hanno mai fatto male a nessuno, loro mangiano altri animali.”

Ecco, appunto… questo era il punto che non riuscivo a mettere a fuoco: i coccodrilli.

“Ma tu sei matto!” fu la mia unica risposta possibile.

Ma il suo sorriso destabilizzò la mia certezza nel non ficcarmi in quell’avventura per me suicida. Pensai fino a che punto la mia voglia di vivere la vita quotidiana di questa gente poteva superare la mia certezza che stavo facendo una cosa rischiosa. Il fascino del lago con i fiori di loto, la serenità di Asanka, l’imparare a pescare con una tecnica che non conoscevo… quanto di tutto questo era prioritario rispetto alla mia paura dei coccodrilli?

Come faccio spesso, anche quella volta prevalse l’avventura. Salii davanti a lui, misi le gambe in acqua fino a metà polpaccio, presi il filo con il lamo e guardando i movimenti di Asanka coordinai i miei… lentamente ci allontanammo dal pontile.

La tecnica di pesca era davvero semplice e i pesci abbondanti. Il primo che pescai mi raggelò! Era un trichogaster di circa 15 centimetri, esattamente simile ai pesci che da anni avevo nell’acquario di casa. Guardai attentamente quel pesciolino dai colori vivaci, era lui, era un trichogaster leeri.

Una pacca sulla spalla mi deconcentrò dai miei pensieri. Asanka mi passò un fine tondino di metallo e mi fece vedere come dovevo fare per infilzarci i pesci pescati.

Era troppo! Gli spiegai che avrei pescato ma doveva essere lui a staccarli dal lamo e infilarli nel tondino metallico. Sorrise e accettò la collaborazione scuotendo il capo da un lato all’altro.

In circa un’ora ne pescammo una ventina e quando Asanka si ritenne soddisfatto tornammo lentamente al pontile dell’isolotto. Solo allora mi tornarono in mente i dubbi che avevo avuto rispetto ai coccodrilli: quanto era stata solo fortuna e quanto invece erano vere le certezze di Asanka sul loro essere innocui? Quanto questi due fattori, tra loro opposti,avevano influito sul fatto che ero ancora vivo dopo una nuotata, un bagno, una pesca con i piedi immersi nel lago?

Ma in quel momento mi accorsi che la macchina del ministro stava andandosene rompendo il silenzio magico del luogo.

Ebbi così la certezza che al politico di me, come persona, non interessava nulla. Il suo interesse era solamente legato ad ottenere lavoro per le aziende sue “amiche”. La cosa non mi stupì, tanto sapevo che già il giorno dopo lo avrei ritrovato ossequioso e attento ad ogni mia possibile esigenza, per poi nuovamente ignorarmi appena soddisfatto nelle sue priorità affaristico-politiche.

Asanka guardò la polvere sollevata dall’auto e mi disse: “Adesso sei qui da solo… prenderemo un tuc-tuc per andare in città. Io cucino questi pesci così facciamo colazione insieme, tanto i monaci non mangiano gli animali. Poi ce ne andiamo.”

Dopo circa un’ora Asanka arrivò nel pergolato della mia camera con un vassoio che conteneva i pesci fritti. Ci sedemmo comodamente e lentamente, chiacchierando, ce li mangiammo. Sazi e di buon umore per la serenità che ci circondava decidemmo di farci un’ultima nuotata. Lui si muoveva nell’acqua con estrema naturalezza, non nuotava bene ma i suoi movimenti erano armonici… come il suo corpo. Guardando quel ragazzo fisicamente così normale: di altezza medio bassa, smilzo, ma senza nessun tratto che lo caratterizzava particolarmente, pensai che la bellezza estetica di un corpo assume fascino quando la gestualità, i movimenti, le espressioni sono in sintonia con la specifica fisicità del corpo stesso.

Ecco, questo fu un pensiero scaturito dal relax fisico mentale che stavo vivendo. Dovevo ringraziare i due monaci per il massaggio ayurvedico del giorno prima o solamente la calma e l’armonia del luogo?

Rientrati in camera ci preparammo per partire e andammo a salutare i monaci.

L’anziano monaco parlò a Asanka in disparte e dagli atteggiamenti capii che erano tutte raccomandazioni che gli rivolgeva.

A me dedicò parole di ringraziamento, che contraccambiai, con gli auguri di rivederci presto.

Asanka ed io, senza auto, iniziammo a percorrere la strada sterrata che portava ad una via principale. Arrivati all’asfalto trovammo subito un tuc-tuc disposto a trasportarci sino in centro città dove alloggiavo.

Seduti sul divanetto posteriore del tuc-tuc, Asanka disse: “Sono felice di vivere questa nuova avventura con te, sono sicuro che ci divertiremo!”

Gli sorrisi. “Anche io ne sono certo!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(28 settembre 2014)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©gianfranco maccaferri 2014
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