di Gisella Calabrese twitter@giscal77
Dopo quasi un mese di “latitanza” nei boschi assieme ai suoi cuccioli, l’orsa Daniza è morta per mano dell’uomo. A parer mio (e di molti altri) non si è trattato di un incidente, ma di un fatto voluto, un “errore calcolato”. Staremo a vedere cosa risulterà dalle inchieste (forse).
“Prendete la mira, puntate, fuoco” e un altro povero animale innocente, colpevole solo di essere un animale, non esiste più. Definita “pericolosa” per aver protetto i suoi figlioletti da un incauto nonché superficiale fungaiolo, procurandogli un paio di graffi (foto alla mano), è stata strumentalizzata, braccata e infine uccisa. Siamo andati a prenderla fino in Slovenia per farla morire qui in Italia. Che bravi. E’ lapalissiano che se l’orsa avesse davvero voluto fargli del male, l’avrebbe fatto con un colpo secco, quindi passo oltre.
Ho appreso dell’uccisione di mamma orsa, che era diventata un po’ la mascotte di tutti noi che amiamo e rispettiamo gli animali e il loro habitat, ieri mattina in un bar e mi è venuto il magone. Speravo in un errore, invano. Ho dovuto indossare nuovamente gli occhiali da sole per nascondere il mio dispiacere ad astanti chiassosi e ingombranti. In quel momento avrei voluto essere da sola, ad imprecare per tanta imbecillità e inadeguatezza umana. E qui mi riferisco a chi, nel Trentino, ieri non è riuscito a far altro che uccidere un grosso quanto affascinante animale con il narcotico (??) e sentenziare così la fine della sua vita, che per molti non ha avuto nessun significato, ma per fortuna per molti altri sì.
Se volete chiamarmi animalista fatelo pure, per me non è un offesa e onestamente non vedo proprio come possa esserlo. Sono nata così, sensibile, con un’innata propensione verso gli innocenti, gli indifesi e gli animali, che racchiudono entrambe queste qualità. Ieri ero così arrabbiata che sui social ho espresso tutto lo sdegno e la rabbia e il dispiacere che avevo in corpo. Sono impulsiva, passionale, idealista, a volte dovrei aspettare, far sbollire il sentimento, ma non servirebbe a molto. Ieri sono stata feroce anch’io, ho usato termini come assassini, esecuzione, dimissioni, boicottaggio. Non ho augurato la morte a nessuno, non potrei mai, ma di certo qualche provocazione forte l’ho fatta. Ne sono pentita oggi? No, nella maniera più assoluta.
C’è una cosa, però, di cui mi pento: mi sono sentita in colpa. Ad un certo punto, ho avuto la strana sensazione di aver esagerato, di essermela presa troppo, anche con le stesse istituzioni, a partire dagli enti locali di Trento, ai politici della Regione fino al Ministero dell’Ambiente, tutte persone che hanno gestito “la questione Daniza” con imbarazzante inadeguatezza, approssimazione, ignoranza e fare maldestro. Ho dovuto dormirci sopra e staccarmi da quell’impatto emotivo e quel groviglio di sentimenti contrastanti per analizzare il problema; e alla fine ho capito.
E’ proprio questo che insensibili, ignoranti o semplici arroganti vogliono ottenere: farci sentire in colpa perché ci indigniamo pure per la morte di una mamma orsa, che si poteva serenamente evitare, anche in virtù del fatto che al Trentino piace tanto prendersi i milioni dei fondi Europei per ripopolare i boschi con gli orsi, però poi gli orsi non li vuole. Solo perché mi dispiaccio per la sorti di un animale – Daniza come qualsiasi altro – vogliono farmi sentire inferiore, inadeguata, fanatica, addirittura pazza… esattamente come fanno con chiunque non condivida il loro pseudo-pensiero (se sono in grado di averne uno, ovviamente) e soprattutto con gli animali.
Parafrasando l’affermazione di una grandissima donna del nostro secolo (e molto più intelligente di me), l’astrofisica Margherita Hack, io non vedo nessuna differenza tra il dolore umano e quello animale, così come non vedo alcuna differenza tra l’amore etero e quello gay. Forse per il semplice fatto che, essendo noi per primi mammiferi discendenti dalle scimmie, siamo animali. E ben poco sociali, come diceva il vecchio Rousseau, considerando il modo in cui ci comportiamo. Non mi riferisco solo al nostro rapporto con gli animali, ma anche con l’ambiente, con il pianeta in cui viviamo e con i nostri stessi simili.
Solo per il fatto che io soffra o mi indigni per una bestiola, ciò non significa che non provi gli stessi sentimenti per gli esseri umani (o almeno quelli che possono ancora definirsi tali). Non venite a parlarmi di bambini siriani, della striscia di Gaza o delle decapitazioni dell’Isis perché mi impegno, soffro e mi indigno per loro anche e più di voi che puntate il dito e non fate nulla, seduti sulla sedia a sputar sentenze.
E così giungo al punto. Se prendiamo a cuore la causa degli animali facciamo schifo perché non pensiamo alle persone; prendiamo a cuore i profughi e facciamo schifo perché lo facciamo per gli stranieri e non per gli italiani; prendiamo a cuore i diritti gay e facciamo schifo perché non pensiamo ai malati; prendiamo a cuore i disabili e facciamo schifo perché non pensiamo ai suicidi della crisi; prendiamo a cuore i bambini che muoiono di fame o di malaria e facciamo schifo perché non pensiamo agli animali vittime della vivisezione; prendiamo a cuore gli animali e… facciamo schifo perché non pensiamo ai bambini siriani! Un cane che si morde la coda. Insomma, non possiamo indignarci, aiutare o raccogliere fondi per nessuno in questo imbarazzante Paese?
Signori miei, vi svelo un segreto: se una persona è sensibile, con tutta probabilità lo è sempre, non a giorni alterni, sabato e festivi esclusi. Voglio ribadirlo con forza: il fatto che io conservi la mia umanità e mi indigni per l’uccisione di un animale NON esclude che non provi lo stesso sdegno per crudeltà o ingiustizie – come reputo questa di Daniza – a degli esseri umani. Questa dicotomia uomo/animale non regge a prescindere per chi, come me, prova rispetto per qualsiasi forma di vita. Non si tratta di un accanimento “animalista” è qualcosa che va molto al di là. È la perdita di quella umanità che dovrebbe fare la differenza, la perdita del rispetto del mondo in cui viviamo e delle sue regole, di quel contatto con la natura in cui ci siamo mossi per milioni di anni e che non riconosciamo più come una madre da rispettare e tutelare, ma un bene proprio di consumo che possiamo anche mandare in vacca, tanto “chissenefrega, quando ci sarà il conto da pagare io sarò già morto“. Io non ragiono così. E’ lo smarrimento delle coscienze e del valore della vita in ogni suo aspetto quello che mi angoscia maggiormente. Un uomo molto più saggio di me diceva che si può misurare la civiltà di un popolo da come tratta gli animali e lo condivido, perché se non si ha rispetto per gli esseri viventi di qualsivoglia natura difficilmente si può averla per i propri simili. La cronaca quotidiana ne è una prova lampante.
Concludendo, poiché ogni azione che facciamo viene criticata (talvolta pure dall’ultimo venuto che a malapena riesce ad articolare il suo nome), io da cittadina libera e pensante scelgo la causa che mi tocca di più, quelle in cui posso fattivamente fare qualcosa di buono, di concreto. Non giudico in quale battaglia si debba credere, né critico o peggio ancora offendo chi la pensa diversamente da me (come è avvenuto in questi giorni per Daniza) – ma oggi, oltre ad essermi tolta qualche sassolino dalla scarpa, una cosa la so per certa: io non posso e non devo sentirmi in colpa perché provo dolore o sdegno per la morte di un animale. La sensibilità, l’empatia o l’amore per un altro essere vivente non è e non può mai essere una colpa. O, peggio ancora, un errore. A voler essere pignoli, gli animali vivono su questo pianeta ancor prima di noi e con la nostra scelleratezza li stiamo ammazzando tutti e ci stiamo ammazzando anche tra di noi. Se è intelligenza questa…
Cordialmente vostra.
(12 settembre 2014)
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