E’ finita anche quest’anno. La maratona di Eurovisione, che comincia alcuni mesi prima con le inevitabili polemiche e gli inevitabili casini, seguita con morbosa attenzione dai siti gay seri con la parola gay nel dominio, gli stessi che gridano al miracolo parlando di Mariela Castro.
E’ che se non c’è il trionfo del vuoto non è gay, cosí che bisogna parlare di tutto, ma con superficialità, che ció che è profondo non è gay, in internet non funziona, articoli di quattro righe, un comunicato stampa con uno slogan e una firma -che la firma conta (sic)- e via a aprlare di Eurofestival, come lo chiamavano gli Antichi, perdón, le Antiche, quando non era cosí gay.
La leggiamo in anteprima, l’email che non abbiamo ancora ricevuto, ”Io sono gay, ma non mi ritengo superficiale’‘, alla quale la risposta potrà essere solo ”Rilassati amica, che pariamo in generale e non abbiamo nemmeno la fortuna di conoscerti, cosí che ci rimettiamo fiduciosamente al tuo giudizio su te stessa”, che qualcosa vorrà pur dire.
Ha vinto la Svezia, le nonne russe al secondo posto, l’omofoba Serbia al terzo. Italia al número nove -i siti gay seri la davano per favorita, tanto per mettere il punto sulla ”i” di informazione seria, e commentano poco. Commentare ulteriormente non sarebbe superficiale, vorrebbe dire approfondire, e sarebbe cosí poco gay.
Non abbiamo parlato di Eurovisione se non per informare delle minacce dei soliti foemntatori di terrore. Continueremo a parlarne pochissimo: perché gay friendly sí, ma a tutto c’è un limite.
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