La discriminazione di gay, lesbiche, bisessuali e trans esce dall’invisibilità e dal silenzio grazie a ”Io Sono Io Lavoro”: la prima ricerca scientifica quali-quantitativa di rilievo nazionale mai realizzata in questo campo in Italia.
La rilevazione è stata svolta da Arcigay, nell’ambito di un progetto omonimo, con il contributo del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
Attraverso 2.229 questionari compilati da persone lgbt, 52 interviste a testimoni qualificati e 17 storie di discriminazione sul lavoro prende finalmente forma un fenomeno finora inesistente nella riflessione scientifica e per il quale non esiste ancora alcun sistema consolidato di rilevazione.
”Grazie a questa ricerca la discriminazione delle persone gay, lesbiche, bisessuali e trans sul lavoro assume una dimensione reale sia attraverso i dati qualitativi che quantitativi”, dichiara Paolo Patanè, presidente nazionale Arcigay,
”Con la comprensione delle cause e della modalità della discriminazione di gay, lesbiche, bisessuali e trans sul lavoro – continua Patanè – possiamo finalmente definire delle strategie di prevenzione e contrasto non su situazioni presunte ma sul clima, spesso pesante, che si respira in imprese, aziende o enti pubblici. L’urgenza è quella di convincere le vittime a denunciare: la ricerca è chiarissima su questo. Gay, lesbiche, bisessuali e trans, se vittime di discriminazione, sono impotenti e non hanno punti di riferimento. Lavoreremo su questo”.
Il 19.1% delle persone lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e trans) intervistate riferisce di essere stata discriminata sul lavoro. Quanto alle discriminazioni la forma più grave, il licenziamento, è stata esperito dal 4,8% degli intervistati, in particolare da trans. Oltre due intervistati su tre affermano di aver parlato con qualcuno dell’accaduto, la maggioranza di questi si è rivolto ad amici e parenti, colleghi di lavoro e medici o psicologi, senza però trovare una effettiva soluzione all’accaduto.
Anche l’accesso al lavoro risulta difficoltoso: il 13% delle persone lgbt dichiara di aver vista respinta la propria candidatura per un posto di lavoro in ragione della propria identità sessuale.
Il 48% del campione controlla scrupolosamente le informazioni personali che comunica sul posto di lavoro per non correre il rischio di essere trattato ingiustamente.
Così un quarto degli omosessuali è completamente invisibile (nessuno è a conoscenza dell’orientamento sessuale) sul posto di lavoro; si tratta, in particolare, di intervistati con titolo di studio e livelli di inquadramento elevati. Negli enti pubblici lo svelamento del proprio orientamento, e quindi la condivisione serena della propria realtà, è meno diffuso, mentre lo è maggiormente nelle cooperative e associazioni. La visibilità è più elevata con sottoposti e colleghi, meno con datori di lavoro (52,5%), molto meno con clienti, utenti o committenti (24,6%). I settori lavorativi nei quali le persone lgbt sono maggiormente visibili sono nell’ordine: attività artistiche sportive e ricreative, poi alberghiero e ristorazione, poi le libere professioni, poi il commercio. Le persone lgbt sono maggiormente invisibili, in ordine di invisiblità, nelle forze armate, nei trasporti, nella scuola e nel’industria.
A parità di lavoro, gli uomini omosessuali guadagnano dal 10% al 32% in meno dei loro colleghi eterosessuali; nella maggior parte dei casi l’ingiustizia subita resta non denunciata né segnalata, portando, tra l’altro, a una grave mancanza di dati statistici e di informazioni tecniche sul fenomeno, gli autori delle discriminazioni sono solo o soprattutto uomini.
Tutti i dati sono disponibili nel report pubblicato qui
Iscrivetevi alla nostra newsletter (saremo molto rispettosi, non più di due invii al mese)