Venerdi 11 e Domenica 13 Marzo, al Teatro Comunale di Ferrara, è andata in scena una chicca musicale: il Giulio Cesare di Georg Friedrich Haendel, opera che debuttò al teatro di Haymarket di Londra
nel 1724. Si tratta di un lavoro su un libretto rimaneggiato e riadattato per il pubblico inglese, quindi con meno recitativi e molte più arie per degli amatori della lingua italiana, che peraltro non conoscevano, pur amandone i suoni, e che si sarebbero annoiati a seguire una storia mentre si deliziavano di piaceri puramente sonori come strumenti e voci. Questo ci porta direttamente alle difficoltà che un regista deve affrontare mettendo in scena una vicenda, come in questo caso, abbastanza farraginosa, ma dallo splendore musicale altissimo. Il volenteroso Alessio Pizzech, leggendo le sue note di regia, dimostra cultura, intelligenza, acume, sottigliezza di ragionamento, peccato che nulla di tutto ciò traspaia dal suo spettacolo che fin dall’inizio ci presenta dei romani in abito coloniale, tanto che si prepara la scena con molti rumori e movimenti durante l’ouverture (un genio!). Come si capirà non è il modo migliore per concentrarsi…; ma, andiamo avanti! Su traballanti e fragili praticabiletti si svolge tutto il primo atto cui fa da sfondo un bassorilievo egizio, passabilmente riprodotto. Certo i romani in abiti coloniali e gli egizi come arabi secondo ottocento, non sono certo una novità… l’esempio che ricordo, è quello di Jorge Lavelli, per il Siroe, sempre haendeliano, dieci anni orsono, alla Scuola grande di San Giovanni Evangelista! Ma siamo molto lontani, se non altro per rigore formale. Ci sono troppe pistole in scena a confliggere con il testo cantato e in scena c’è sempre troppa confusione. Ma il meglio deve ancora venire: tra il secondo e il terzo atto 8che si svolge anche molto su un brutto enorme bacile) compaiono trascurabili proiezioni, ci sono scadenti feste in maschera, tanti riferimenti colti affastellati e sprecati, alcuni figuranti, anche bravi, ma che non stanno fermi un momento, distraendo dalla concentrazione… per fortuna, l’esecuzione musicale dell’Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone, è di altissimo livello, così come la compagnia di canto, che si muove bene in scena, nonostante la regia dissennata! Sonia Prina, un Giulio Cesare autorevole e caratterialmente sfaccettato, dalle agililtà rapinose; fascinosa Cleopatra Maria Grazia Schiavo, disinvolta e seduttiva, nonostante i ciaffi che è costretta a mettersi addosso, brava sempre nelle arie impervie come nei duetti. L’ottimo Riccardo Novaro è Achillo, un basso di razza che, covincente nella sua malvagità ha una voce potente quanto duttile. Dolente, sfortunata, intensa Cornelia , Josè Maria Lo monaco. Notevolissimo, infantile, sadico, capriccioso, pericolosissimo, il Tolomeo di Filippo Mineccia; sorprendente per qualità vocali ed immedesimazione, il Sesto di Paolo Lopez; Nireno era Floriano D’Auria, e Curio, Andrea Mastroni, due comprimari di lusso. Lunghissimi meritatissimi applausi a tutti… qualche fischio al regista, e gli è andata anche bene! Ben altro lavoro aveva fatto due anni or sono, sempre nel medesimo teatro, Giuseppe Frigeri, nella sua elegantissima Partenope: ancora una volta Haendel, e la medesima formazione orchestrale diretta anche allora da Dantone.
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