di Daniele Santi
Seguo da molto tempo, con grande attenzione, da lontano e con sufficiente distacco, non essendo i due leader in questione esponenti di partito che voterei ad occhi chiusi, le traiettorie politiche di Stefano Bonaccini, attuale governatore della Regione Emilia-Romagna e di Luca Zaia, governatore del Veneto. I due hanno una caratteristica in comune: conoscono palmo a palmo i loro territori, e i problemi dei loro territori. Per questo vincono.
Alle ultime amministrative Stefano Bonaccini ha fatto a pezzi Salvini e la sua protervia, distruggendo la candidata impresentabile scelta dal segretario leghista che verrà ricordata per non sapere distinguere il Duomo di Ferrara dalla chiesa di San Petronio in Bologna, all’interno di una contesa elettorale che Salvini aveva già vinto e ha perso nella volata finale. Una sua caratteristica che gli sarebbe già costata la poltrona in qualsiasi altro partito. Luca Zaia ha trionfato alle ultime elezioni in Veneto con oltre il 73% dei voti, il 75% dei quali suoi, personali, di Luca Zaia, una roba praticamente mai vista della quale gli va dato merito. Riconosco ad entrambi una caratteristica comune: un’eloquio semplice, diretto, a volte brusco, ma mai ampolloso o artefatto (Bonaccini che dice a Mentana in diretta televisiva: “Lei sa che io non suono campanelli, se ha bisogno sa dove sono” è da manuale). Proprio grazie a quella comune semplicità, i due riescono a dire esattamente come stanno le cose e cosa si dovrebbe fare.
Bonaccini e Zaia sono stati a lungo presidente e vicepresidente della Conferenza delle Regioni e non ci stupiremmo se pur nell’assoluta consapevolezza di stare su fronti diversi e di dovere pragmaticamente da quelle due sponde opposte trovarsi al centro, per il bene del paese, avessero studiato una serie di movimenti lenti, da partita di scacchi mondiale, una mossa ogni tre giorni, con freddezza inesorabile, che abbiano portato a quell’avvicinamento quasi invisibile ma palpabile per chi abbia fiuto politico, tra PD e Lega (non certo la Lega di Salvini) che potrebbe essere la sorpresa prossima ventura tra gli unici due grandi partiti che abbiano realmente una vocazione di governo e uomini preparati a Governare – tocca specificare che tra quegli uomini di governo, soprattutto dopo il ministero dell’Interno gestito dal Papeete, sarebbe difficile annoverare Salvini. La diarchia Bonaccini-PD/Zaia-Lega potrebbe inoltre trovare sponda pragmatica e preparata nel neonato partito socio-liberal-democratico di Carlo Calenda, quell’Azione che a Roma è diventato primo partito alle ultime amministrative.
Questo a patto che, cosa che auspichiamo, ci sia una sterzata proporzionale – proporzionale e basta e senza aggiustamenti e con un ridisegno dei collegi fatto con la testa e non coi piedi – che riporti l’Italia ad una stabilità che il maggioritario corretto dalle corazzate Mediaset (con quotidiani berlusconiani al seguito e grida dei peones incluse) non è riuscito a dare. Non ci stupiremmo se queste grandi riforme, se questa grande rifondazione del paese, necessarie, passassero attraverso l’asse Bonaccini-Zaia mettendo finalmente ai margini gli isterici populisti-sovranismi che dal 1994 ad oggi hanno fatto solo danni.
(20 febbraio 2022)
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